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Palmi-Calabria: Rovaglioso e la leggenda di Oreste

2020-07-04 02:29

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Palmi-Calabria: Rovaglioso e la leggenda di Oreste

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Cosa vedere in Calabria: Rovaglioso e la leggenda di Oreste

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Rovaglioso o Porto Oreste

Porto Oreste (Portus Orestis in latino) è una città che sarebbe esistita nella Calabria meridionale e che, la leggenda, ne attribuisce la sua fondazione ad Oreste. Gli storici localizzano la città nel territorio comunale di Palmi.

La leggenda narra che, nel suo sbarco lungo le coste della Calabria, Oreste fondò una città ed un porto nella zona che attualmente è chiamata Rovaglioso. Difatti, nel XVI secolo, il monaco Tommaso Aceti nel suo libro "De antiquitatae et situ Calabriae" riporta che «non lontano dal fiume Metauro vi è Porto Oreste, che gli abitanti della zona chiamano Roccaglioso» (Rovaglioso).

Il luogo di Rovaglioso era frequentato e molto noto fin dal primo secolo dell'era cristiana, anche se non vi sono ruderi né altro che possano attestare l'esistenza di una città in tempi remoti. Pertanto, nei primi secoli dell'era cristiana, non dovette esistere che qualche villaggio il quale, forse transitoriamente tra il V secolo ed il VI secolo, godette di una residenza vescovile. Vi sono storiografi che affermano che la città di Porto Oreste fosse un'antichissima sede vescovile, e che il suo vescovo Longino partecipò al Concilio del 504.

Alcuni storici ipotizzano che il Porto di Oreste possa invece corrispondere al porto dell'antica città di Tauriana.. La struttura si doveva trovare probabilmente più a nord di Rovaglioso, nella zona "La Scala", tra Pietrenere e Scinà. Ciò in quanto si evidenzia, nelle cartografie aeree degli anni cinquanta dello scorso secolo, una lingua sabbiosa naturale che poteva essere il riparo, degli scafi, dai venti provenienti da sud e da ovest. Questo approdo naturale, in età romana, fu forse trasformato con adeguate opere murarie, in un bacino portuale attrezzato con moli

 

fonte : https://it.wikipedia.org/wiki/Porto_Oreste

 testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli.

La leggenda del leggendario Oreste

Oreste (in greco antico: Ὀρέστης, Oréstēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio del re Agamennone e di Clitennestra e fratello di Ifigenia, Elettra e Crisotemi.

La sua leggenda si è particolarmente arricchita insieme a quella della sorella Ifigenia. Il suo ruolo di vendicatore del padre era già conosciuto nei poemi omerici, sebbene Omero

Il piccolo Oreste venne alla luce in occasione della festività delle Erinni. Si racconta che, ancora in fasce, Oreste fu sottratto dalla culla e sfiorato dalla spada di Telefo, con la complicità di Clitennestra, che giurò di uccidere il neonato se Achille non avesse acconsentito a risanarlo. Oreste era ancora molto giovane quando Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia venne assassinato dall'amante della madre, Egisto.

Elettra, preoccupata per la sorte del fratello, con l'appoggio del vecchio tutore di Agamennone, avvolse il fratello in un lenzuolo ricamato con effigi di bestie feroci, che essa stessa aveva intessuto, strumento con il quale sarà operato il riconoscimento di Oreste da parte della sorella, e lo fece evadere segretamente dalla città per affidarlo alle cure dello zio Strofio, re della Focide.

Egisto dominò Micene per sette anni, sedendo sul trono di Agamennone, impugnando il suo scettro, dormendo nel suo letto, sperperando il suo patrimonio. Quando era ubriaco, Egisto lanciava pietre sulla tomba di Agamennone, esclamando: "Vieni, Oreste, vieni a prenderti quel che ti spetta". Elettra stessa mandava frequenti messaggi a Oreste implorandone il soccorso per concretizzare la vendetta che si aspettava da lui.

Ormai adulto, Oreste visitò l'oracolo di Delfi per sapere se doveva riservare una punizione agli assassini di suo padre. Il responso emesso da Apollo, autorizzato da Zeus, diede consenso annunciando che se non avesse onorato la memoria di Agamennone vendicandone la morte sarebbe stato relegato ai margini dalla società.

Diventato adulto, Oreste decise di tornare in patria, per assolvere il compito affidatogli dall'oracolo di Delfi. In compagnia del cugino Pilade, tornò ad Argo e vendicò la morte del padre, uccidendo Egisto e Clitennestra.

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Immagine: Oreste e Pilade contro i nemici in Tauride, dipinto di François Bouchot

Reso pazzo dal matricidio, Oreste venne perseguitato dalle Erinni e giunse ad Atene. Qui subì un processo, dal quale venne assolto, grazie all'intervento di Atena.

 Apollo gli disse che per trovare pace doveva recarsi nel Chersoneso, terra dei Tauri, rubare l'antica statua lignea di Artemide e poi recarsi in un luogo ove scorreva un fiume formato da sette sorgenti. Nel Chersoneso, quando vi giunse insieme a Pilade, venne catturato e, come tutti gli stranieri, preparato per il sacrificio ad Artemide.

Sacerdotessa del tempio era Ifigenia, sorella di Oreste la quale, riconosciuto il fratello, ingannò Toante, re dei Tauri, dicendogli che i nuovi arrivati dovevano essere lavati nel mare poiché accusati di matricidio e chiese anche alla popolazione di non assistere al rito. Ciò servì ai tre per fuggire, con la statua di Artemide, navigando verso la Grecia. Toante li inseguì ma venne sconfitto.

Dopo tante peregrinazioni giunsero in Sicilia e poi nell'Ausonia (come si chiamava anticamente la costa corrispondente alle attuali province di Catanzaro e di Reggio Calabria) e qui Oreste approdò alla foce del fiume Metauros (oggi Petrace) indicato dall'oracolo di Delfi.(1)

 Questo è tutt'oggi un fiume alimentato da sette sorgenti.

Appena vi si immerse Oreste riacquistò il senno. La leggenda narra che in quel luogo vi fondò una città che da lui prese il nome (Porto Oreste).

 Da questa tradizione cotanto antica e favolosa, pare che la gente di questi luoghi abbia tratto ragione a chiamare porto Oreste quel breve e mal sicuro seno dalla rocciosa ed alta costa fra il Petrace e la Marina di Palmi, il quale è già da tempo che porta il nome di Rovaglioso, il  luogo dove sia approdato Oreste e Furia, buona parte di quel territorio, poco più elevato e contiguo all’altipiano della costa di pietrenere, presso la contrada, oggi detta San Filippo; in memoria delle furie che, secondo la leggenda narrata, tanto avevano tormentato Oreste (2)

 

Continuò dopo il suo viaggio fino alla città di Ipponio( oggi Vibo Valentia) per purificarsi completamente del matricidio, nel magnifico tempio dedicato a Proderpina, Ritornato z Reggio, vi edifico un tempio a Diana Fascelide ee vicino sorse e crebbe un alloro da cui i teori dei Reggini staccavano un ramoscello per offrirli , come cosa sacra, ad Apollo in Delfo, ogni qual volta vi si recavano a consultare l’oracolo; e su questo alloro. Qui, si narra che sia rimasta a lungo la spada che Oreste ebbe a lasciare quando partì, consacrandola alla Dea.

 

Al ritorno gli spettò il trono di Micene ed Argo (dopo avere ucciso il fratellastro Alete) e alla morte di Menelao anche quello di Sparta. Pilade sposò Elettra e Ifigenia divenne sacerdotessa di Artemide in Grecia.

 

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Rovaglioso è una caletta naturale sormontata da scogliere e anfratti che si apre al termine di un costone a picco sul mare, coperta da zagare e fichi d’india, offre un paesaggio davvero suggestivo e caratteristico.

Fino a poco tempo fa il percorso per raggiungere Ravaglioso passava dalla ripida stradina, parzialmente sterrata.

Oggi, la stradina che conduce a Ravaglioso risulta meno dissestata e lo spiazzo-parcheggio fra gli ulivi oggi ospita panchine e tavolini realizzati in legno riciclato e piccole macchie di piante grasse. I rovi che sottraevano la vista sulla caletta sono stati tagliati ed oggi questo spazio è diventato un belvedere su un panorama mozzafiato con i suoi circa 100 metri di strapiombo. A darvi il benvenuto c’è un cartello in legno con la scritta “Rovaglioso presidio di volenterosi cittadini palmesi”, mentre altri invitano al rispetto per l’ambiente. Da un lato della radura fra gli ulivi il sentiero di 119 gradini, prima impraticabile ed ora recuperato, porta fino alla scogliera, intervallato da qualche panchina per un riposo temporaneo. In fondo alla discesa, a far compagnia al visitatore c’è solo il fruscio del vento, la voce del mare e il rumore di qualche imbarcazione di passaggio. Per il resto solo silenzio, acqua cristallina e fondali trasparenti che pullulano di vita.

In un punto sgorga persino una sorgente che crea una sorta di vasca d’acqua dolce, un vero paradiso per gli amanti delle immersioni subacquee. A realizzare questo piccolo miracolo di recupero è stata nel 2013 la Provincia di Reggio Calabria. Un’opera che ha ridato visibilità ad uno scenario naturale a lungo rimasto inaccessibile al grande pubblico e riservato a singoli e temerari trekkers.

IL PREMIO DI LEGAMBIENTE

Nell’agosto 2013, a coronamento di questo bel cambiamento, Legambiente ha conferito alla Scogliera di Rovaglioso il riconoscimento ‘La più bella sei tu’ ed il sito è entrato a far parte delle 17 spiagge più belle d’Italia. A decretarlo l’esito di un sondaggio effettuato via internet, che ha permesso a chiunque di potersi esprimere sui luoghi italiani di eccezione. Rovaglioso è così entrata di diritto nella rosa delle spiagge più belle d’Italia, sebbene non siano mancati riferimenti anche ad altre suggestive località calabresi, tra le quali Praja di focu-Capo Vaticano a Ricadi, la spiaggia di Marinella a Isola di Capo Rizzuto, la spiaggia di Caminìa a Stalettì, il litorale di Roccella Jonica e molte altre.

Immagine: William-Adolphe Bouguereau – Oreste perseguitato dalle Furie, 1862 – Norfolk (Virginia), Chrysler Museum of Art| Public Domain


(1)    Fra i primi autori che parlano del fiume e della sua ubicazione, indicandolo anche come leggendario, vi sono Varrone nel suo “Rerum Humanarum“, Probo Grammatico e Marco P. Catone nel “De Originibus“. Anche diversi studiosi di epoche successive concordano sul fatto che il Metauros corrisponda al Petrace, e Rocco Liberti, Deputato di Storia Patria per la Calabria, in un libro su Gioia Tauro pubblicato nel 1982, scrive che Antonio De Salvo alla fine dell’Ottocento sosteneva che il territorio intorno alla città venisse definito “Furia” proprio in ricordo delle Erinni che perseguitarono Oreste.

(2)  a fronte delle numerose fonti sul mito di Oreste in Calabria, in realtà pochissimi sono gli autori antichi che citano Porto Oreste, uno dei quali è Plinio il Vecchio, che nella sua Naturalis Historia (III, 73) scrive: “…Poi [c’è] Ippone, che ora si chiama Vibo Valentia; il Porto di Ercole, il fiume Metauro, la città di Tauroento, il Porto di Oreste e Medma”. Sulla scia di Plinio, secoli dopo parlano di Porto Oreste gli umanisti calabresi Gabriele Barrio e Girolamo Marafioti (XVI -XVII sec.)  e il geografo tedesco Filippo Cluverio (XVII sec.).

Portus Orestis è dunque il nome mitico di una città-porto nei pressi di Palmi per il quale, negli anni, sono state diverse le proposte di ubicazione. Stando a quanto pubblicato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, l’ipotesi più accreditata allo stato attuale delle ricerche archeologiche, sarebbe quella che il bacino del porto si trovasse a sud di Contrada La Scala, in un tratto di costa d’antica formazione ma oggi occupato in gran parte da strutture moderne, un luogo dove la lettura della cartografia aerea degli anni ’50 ha evidenziato una lingua sabbiosa naturale che poteva fungere da riparo alle imbarcazioni nel caso di venti spiranti sia da sud che da ovest. E tale approdo naturale in età romana, è probabile si sia trasformato con adeguate opere murarie, in un vero e proprio bacino portuale attrezzato con moli. Un porto che deve essere stato estremamente rilevante per la sopravvivenza della città in età imperiale e tardo-antica e che la tradizione letteraria ricorda attivo anche nei secoli successivi fino al XVIII, così come si ricava dalle opere ottocentesche di Antonio De Salvo il quale ne cita il disarmo spiegando che “…poiché l’interrimento sempre più avanzatesi…” il Porto di Oreste fu soppiantato da quello di Gioia Tauro, per volere del Vicario generale di Calabria “…avendovi fabbricato il primo magazzino di deposito, per il commercio dell’olio”.

Se al di là delle vaghe prove archeologiche, ci rivolgiamo ancora alla tradizione, scopriamo che un documento del XVIII sec. pare citi l’esistenza di una Cappella dedicata alla SS. Vergine di Porto Oreste proprio nella zona di Rovaglioso, luogo che la tradizione popolare fa coincidere con la sede del misterioso insediamento. Certo la presenza di una cappella dedicata non è una prova di esattezza del contesto geografico, ma un semplice indizio da non trascurare. Da ricordare è poi anche la menzione che di Porto Oreste fa Tommaso Aceti, vescovo, bibliotecario e filologo calabrese vissuto fra Sei e Settecento, che nell’occuparsi delle città scomparse della Calabria cita Porto Oreste collocandolo “inter Taurianum et Palman, nunc Rovaglioso”, riportandoci ancora una volta lungo l’affascinante tratto costiero. Rievoca inoltre la presunta importanza del luogo, se è vero che fu sede vescovile agli albori del Cristianesimo in Calabria, ma poi dice che la furia distruttiva dei saraceni spinse gli abitanti a trasferirsi nella vicina Taureana che avrebbero lasciato a seguito della sua distruzione nel X sec. Costoro – aggiunge il De Salvo – si sarebbero infine rifugiati nella parte alta della costiera, tra il monte Aulinas (oggi Sant’Elia) ed il fiume Metaurus, nella contrada De Palmis dove vi erano alcune case coloniche, e così Porto Oreste fu condannata all’oblio. Una correlazione fra Porto Oreste e Rovaglioso la ritroviamo anche in un Vocabolario italiano-latino in due tomi del 1764, stampato a Venezia, che alla voce PORTUS ORESTIS fa corrispondere la definizione “Plin. Porto Rovaglioso in Calabria”.

 

Nella cartografia antica, che spesso ripropone luoghi e toponimi desunti dagli antichi scrittori, troviamo traccia del Porto Oreste, in una carta del 1652 realizzata ad Amsterdam dal cartografo, editore e incisore olandese Joannes Janssonius, incisa in rame e colorata a mano, decorata con un bel cartiglio recante l’iscrizione “Itala nam tellus Graecia major erat”. E’ tratta dall’atlante storico “Accurata Orbis antiqui Delineatio”, curato da Hornius ed inserito da Janssonius come volume VI del suo “Atlas Novus”. La carta riprende quella originariamente edita da Ortelio nel “Parergon” del “Theatrum Orbis Terrarum”.

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