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IL BLOG DI CALABRIADREAMIN

Cosa vedere in Calabria: Insediamenti Rupestri a Palmi dalla preistoria al medioevo

2020-06-06 11:23

Dr. Domenico Bagalà

COSTA VIOLA, PALMI, cosa vedere in calabria, grotte di trachina, insediamenti rupestri, trachina, pignarelle, grotte di pignarelle,

Cosa vedere in Calabria: Insediamenti Rupestri a Palmi dalla preistoria al medioevo

Le origini storiche del territorio di Palmi sono avvolte nel mistero: dalle ricerche archeologiche risulta una ininterrotta frequentazione di diversi popoli

Cosa vedere in Calabria: Insediamenti Rupestri a Palmi dalla preistoria al medioevo

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Le origini storiche del territorio di Palmi sono avvolte nel mistero: dalle ricerche archeologiche risulta una ininterrotta frequentazione di diversi popoli dal 3000-2500 a.C. all’anno 1100. Fatto confermato dagli scavi archeologici nel pianoro di Taureana, dove sono state scoperte delle capanne preistoriche e nella Grotta di Trachina, dove l’Istituto Italiano di Archeologia di Genova, nel 1993, ha condotto uno scavo archeologico, su incarico della Soprintendenza, accertando resti relativi ad una fase medievale riconducibile al XII sec. d.C.; una fase di età classica, (greco arcaica e romana) e infine la fase più antica alla base dello scavo archeologico, dove sono emerse strutture murarie con annessa massicciata in pietra di età preistorica riconducibile all’era del Bronzo antico, compresa tra il XIX e XVI sec. a.C..

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A LATO: Frammento di vaso importato dalla Grecia meso-elladica

 

Questi ritrovamenti, che fanno pensare ad un uso cultuale della grotta, la pongono tra i siti più interessanti rispetto a quanto noto per le altre cavità conosciute in Italia.

Ma l’importanza di questo luogo è rappresentato dal ritrovamento di un frammento di vaso importato dalla Grecia meso-elladica. Si tratta di una documentazione unica in Italia che attesta i più antichi rapporti di scambio diretto tra l’ambiente egeo e il nostro territorio, che precedono di due secoli quelli documentati dalle più antiche ceramiche micenee, rinvenute nelle vicine isole Eolie (dalle relazioni-Prof. SantoTinè Archeologo dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria e della Società Archeologica di Atene). Questo reperto è esposto al museo della Magna  Grecia di Reggio Calabria.

 

Nel 1991, quale appassionato di storia ed anche conoscitore del territorio, fui contattato da una equipe di esperti della CAST di Bari[1], composta da archeologi, geologi, etnoantropologi, topograci e storici, per far conoscere i luoghi del nostro territorio che fossero ritenuti importanti per lo studio da loro avviato, così li condussi a S. Fantino, Trachina, Pignarelle (Palmi), a Seminara (Piani della Corona, Caforchie, S. Margherita e La Zambara) ed in altri luoghi del nostro territorio. Questi esperti in quel periodo stavano effettuando ricerche di etnoarcheologia nell’Eparchia marittima nel Sud della Calabria, per conto del C.N.R.S. di Parigi[2]. La conoscenza del territorio unita alle competenze professionali ed accademiche e un lavoro interdisciplinare, ci ha permesso di scoprire, studiare ed anche dare un valore storico, a molti siti e manufatti fino ad allora sconosciuti o ignorati. Fu in quel periodo che vennero studiati ed elaborati specifici progetti di Etnoarcheologia del complesso medievale “da S. Fantino alla Costa dei Maschi” - di “Aulinas nel gioco delle lotte tra insediamenti religiosi normanni” - “l’individuazione dei resti del Monastero Imperiale di S. Elia il Giovane”, maggiori approfondimenti su Caforchie e la Grotta di S. elia Speleota a Melicuccà ed accertata l’importanza storica delle grotte di Pignarelle e di Trachina.

Grotta di Trachina, ricognizione 1991:  

 

[1] La CAST - Cooperativa Arte Archeologia e Storia del Territorio - è nata nel 1985 dal comune impegno di archeologi, storici dell'arte e altre figure professionali specializzate che la compongono, di operare nell'ambito della valorizzazione e della ricerca dei Beni Culturali. I professionisti che nel tempo ne hanno fatto parte si sono occupati di problematiche relative allo studio e alla conoscenza della frequentazione antica: dalla preistoria ai centri indigeni, dalla Magna Grecia alla romanizzazione, dal Medioevo all’età post-rinascimentale e barocca. La società ha posto particolare attenzione all’utilizzo delle tecnologie applicate alla ricerca archeologica in modo da elaborare metodologie avanzate di lavoro che le permettono di operare in ambiti diversi in collaborazione con enti e/o professionisti che operano in diversi campi dell’indagine archeologica in modo da garantire la realizzazione di analisi archeometriche di vario genere, consulenza antropologica, paleobotanica e archeozoica, rilievi fotogrammetrici effettuati con tecniche diverse (rilievi stereoscopici e monoscopici, rilievi aerei con drone).

[2] Il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica è un ente pubblico francese di ricerca, sotto la supervisione del Ministero della pubblica istruzione, dell'istruzione superiore e della ricerca. Produce la conoscenza e mette questa conoscenza al servizio dell’umanità.

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La grotta di Trachina è situata nel territorio di Palmi (IGM F 245 II SE), a poche decine di metri dalla costa tirrenica, si configura come una vasta cavità naturale, molto irregolare nella forma, con due ingressi a nord e a sud alquanto accidentati.

“La grotta si apre nel banco roccioso di granito che sembrerebbe abbia subito l’azione erosiva delle onde del mare, sebbene diverse e sconosciute vicende di carattere geologico possono aver contribuito in età remota ad un avanzamento della costa con il conseguente interramento della cavità.

L' interno, come già detto abbastanza ampio, presenta 1a volta rocciosa che, talvolta, raggiunge i 4 -5 metri di altezza.

Verso est si restringe a formare una specie di inghiottitoio, oltre il quale, separato da un grosso masso, sarebbe un’altra cavità non ancora esplorata.

II piano di calpestio interno è composto da uno spesso strato di terra humifera; il terreno si presenta molto compatto e di colore marrone scuro.

Affioramenti di ceramica di superficie sono presenti un po’ dovunque: una raccolta sommaria ha permesso di riconoscere due diverse classi ben distinte tra loro. Sono stati infatti raccolti alcuni frammenti di ceramica ad impasto pertinenti a forme carenate databili tra il 2.500— 2.000 e il 1.500 a.C. e uno scarto di lavorazione di uno strumento litico con evidenti scheggiature, databile anch'esso allo stesso periodo.

Oltre questi frammenti che attesterebbero 1a frequentazione del sito in età preistorica, sono stati raccolti alcuni reperti ceramici di età post-classica che testimonierebbero il riutilizzo della grotta in età medievale.

Un particolare molto interessante è costituito dalla presenza di un consistente deposito di ossa animali stratificato al di sotto della parete est della grotta. La campionatura raccolta ha permesso di riconoscere alcuni frammenti pertinenti a ossa lunghe con evidenti tracce di calcificazione che potrebbero far propendere per una datazione contemporanea a quella della ceramica ad impasto.

Attraverso un viottolo che costeggia la parete Sud della grotta, si sale ad un piano superiore dove si apre un largo ricavato davanti ad un’altra cavità, che ha una vista panoramica sul mare abbastanza ampia tanto da vedere lo stretto, la Sicilia, le Isole Eolie ed a Nord Capo Vaticano. Essa si presenta di più piccole proporzioni, con una specie di impluvium al centro del tetto. Questa grotta doveva fare parte sicuramente del complesso si grotte sottostanti.  La posizione panoramica ci induce a pensare che potesse avere una funzione di avvistamento.

E' necessario registrare, infine, che in alcune zone della grotta sono state scavate delle buche nello strato di terreno humifero, opera di scavatori clandestini che hanno danneggiato, fortunatamente solo in parte, 1a stratigrafia del terreno”. (Dalla relazione del Prof. F. Carofiglio, P. Favia, F. Rinaldi)

Anche noi abbiamo effettuato ricerche sul territorio adiacente, in particolare nel 2006 una fortunata circostanza ci ha fornito una ulteriore prova dell’importanza archeologica dell’intera costa.

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Poco lontano in località Rovaglioso (Porto Oreste), nella proprietà Cordopatri, dei contadini nel piantare alberi, hanno portato alla luce della grandi anfore, all’interno delle quali vi erano tracce di ossa umane miste a polvere di cenere; interessante la descrizione del ritrovamento: “scavando grosse buche per piantare degli alberi, abbiamo trovato una grande quantità di pietre che sembravano sistemate a formare una armacia a piramide (muro a secco); una volta tolte abbiamo intravisto un pezzo di terracotta molto spesso, era il bordo superiore di una grande anfora, essa era sistemata in posizione retta, però nel tentativo di estrarla si è sbriciolata in mille pezzi; poco vicino abbiamo trovato moltissimi altri cocci e pietre” (testimonianza del sig. Dattilo); Della scoperta è stata naturalmente avvertita la Soprintendenza Archeologica della Calabria, l’Ispettore ai monumenti Antonino Raneri di Bagnara, ha potuto vedere questi cocci: da un primo esame sia della descrizione, che dai frammenti, si è  ipotizzato che si trattasse di “un campo di urne”, usi funerari presenti nelle popolazioni italiche (XII sec. a.C.) diffusisi in tutta la penisola e affermatisi in tempi brevi al sud, tra le popolazioni identificate con l’etnico “Tauriani”. Ricordiamo della presenza nel nostro territorio della da loro fondata “Taurianum” dal genitivi plurale Città dei Tauriani, di stirpe brettia, che si erano stanziati intorno al IV sec. a. C. nel territorio a sud del Metauro fino allo Sfalassà, dove sulla collina a C.da Serro di Tavola vi è un fortino Tauriano, mentre a nord, all’interno fino alla fascia aspromontana con i presidi di contrada “Palazzo” “Torre Cillea” e “Mella” nel territorio dei Mamertini (Oppido). Pertanto riteniamo assai probabile che lungo la costa che va da Rovaglioso fino al pianoro di Taureana vi siano stati insediamenti ed anche necropoli Tauriani.

La cremazione dei defunti era una pratica simile alla odierna cremazione: le ceneri dei morti venivano poste in recipienti fittili i quali poi erano sepolti in estesi cimiteri, i campi di Urne, meglio noto nella nostra penisola come cultura di Villanova.

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A LATO: 

Frammento in cui si nota un Italico Tauriano con elmo a cresta di gallo, scudo rettangolare, schinieri e gladio

D. Bagalà: ritrovamento occasionale

 

Delle popolazioni Italiche che abitarono queste terre, oggi conosciamo l’etnia, il nome, la cultura, i manufatti e l’arte, il loro territorio e le loro Citta, Taurianum (a Taureana di Palmi) e Mella (vicino Oppido vecchia). La prima notizia storica di questa misteriosa popolazione ci è data da un brano delle Origines di Catone, in cui sono messi in risalto i sette fiumi «I Thesunti Tauriani, egli dice, traggono il nome dal fiume che scorre vicino. La loro città fu prima posseduta dagli Aurunci e poi dagli Achei, che ritornavano da Troia; il loro territorio è solcato da sei fiumi ed un settimo, che si chiama Pecoli, fa da confine con il territorio dei Reggini.Qui si dice che sia giunto Oreste, assieme ad Ifigenia e Pilade per espiare l'uccisione della madre e fino a poco tempo addietro si poteva vedere una spada confitta in un albero, lasciata lì, si dice, da Oreste»[3.

 

[3]Thesunti Tauriani vocantur de fluvio, qui propterfluit. Id oppidum Aurunci primo possederunt, inde Achaei Troia domumredeuntes. In eorum agro fluviisunt sex; septimusfinem Rheginum atque Taurinum dispescit: fluviinomen est Pecoli. E o Orestemcum I phigeniaatque Pyladedicuntm aternam necemex piatum venisse, et non longinqua memoria est, cum in arboreensemviderint, quem Orestes abiens reliquisse dicitur (dal libro III delle Origines).

 

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I Tauriani, ci dice la storia, erano persone alte di statura, sveglie e attive e, quando minacciati, contrastavano bene i possibili invasori. Tauriana, la loro città principale, che aveva un importante porto, era fin da quei tempi antichi ben inserita nel territorio, con uno scambio economico e sociale rilevante. Nel I secolo a.C., essi scelsero strategicamente di trattare l’annessione all'Impero, fatto che permise una pacifica entrata dei soldati romani a Tauriana. Gli stessi però, a causa di sacche di resistenza, furono costretti ad occupare con la forza e forse distruggere un’altra loro importante città sita presso l'attuale Oppido (in contrada Mella[4]).

Il Prof. D. Minuto della Deputazione di Storia Patria, afferma che Tauriana divenne l'unico centro che manifestasse l'eredità sociale di quella gente e forse si avvalse anche dell'eredità materiale del territorio distrutto, se in tal modo possiamo interpretare la presenza notevole di mattoni con il sigillo dei Tauriani in caratteri greci nella cripta di San Fantino[5]. Certamente, Taureana fu una città fiorente durante l'età tardo antica e la prima età bizantina, come dimostrano le sue rovine, che sono tuttora oggetto di ricerche archeologiche[6], le molte sue iscrizioni tombali dei secoli IV-V d.C. e soprattutto la cripta di San Fantino, che è il più antico luogo di culto della Calabria, dedicato peraltro al più antico santo calabrese. 

La sua prosperità ricevette un duro colpo verso la fine del secolo VI, per le incursioni longobarde che sono testimoniate da alcune lettere di papa Gregorio Magno. Il Prof. D. Minuto, in occasione di un  sopralluogo nel 1993 al sito di Pignarelle a Palmi, da me organizzato, dichiarò: che dopo quella circostanza la città di Taureana fu temporaneamente abbandonata e la popolazione si rifugiò presso un abitato rupestre che certamente coincide con quello visitato, che si trova a valle di Palmi in località Pignarelle: un notevole complesso rupestre che fu presentato da chi scrive, alla comunità scientifica nel 1993, ed ancora attende uno studio sistematico e un progetto di tutela e valorizzazione.

 

[4] Liliana Costamagna, Il popolo dei Tauriani e l'abitato di Mella presso Oppido Mamertina, in "Klearchos" 149-156, 1996-1997, pp. 115-134.

[5] Felice Costabile, Il ninfeo romano ed il complesso monastico di S. Fantino a Taurianum, in "Klearchos" 69-72, 1976, p. 105.

[6] Cf. Francesca Zagari, Una testimonianza di Tauriana bizantina: un sigillo plumbeo da S. Fantino in territorio di Palmi, un territorio riscoperto. Revisioni e aggiornamenti. Fonti e ricerca archeologica, a cura di Rossella Agostino, ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.

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La storia delle Grotte di Pignarelle  

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Nella Calabria, che fu l’antica terra del vino (Enotria), già Ouitoulìa "terra dei Vitili" o "terra dei tori" degli Italici Tauriani, così chiamato dagli Enotri e poi anche Greca, romana e  bizantina, lungo i terrazzamenti coltivati a vigneti della Costa Viola, e in altri anfratti nei territori di Bagnara, Seminara e Palmi, dal VI al XI secolo un numero cospicuo di monaci provenienti dal Medioriente e dalla Grecia -che inizialmente scappavano dai territori raggiunti dalle guerre iconoclaste, e nei secoli successivi per l’avanzata araba mussulmana arrivata in occidente anche i Sicilia- si creò un centro monastico rupestre spontaneo composto da cenobi, laure e semplici spelonche (che oggi potremmo chiamare luoghi del Monachesimo diffuso). Inizialmente questi luoghi risultarono congeniali, sia per nascondersi, ed anche strategici per il controllo del mare, dove l’avvistamento di eventuali assalti saraceni faceva la differenza tra la vita e la morte. Tra questi monaci, molti gli esicasti, cioè che praticavano l’isichìa (eremitaggio).  Siamo a conoscenza di circa 100 grotte o cavità, sparse in tutto il territorio riportate nel Catasto Nazionale delle Grotte d'Italia, di cui molte scomparse a seguito di frane e terremoti, ma la ricerca è ancora in corso.[7]

 

[7] La presenza di monaci bizantini che per scelta o necessità vivevano nelle grotte è anche accertata in altre località del nostro territorio, di cui le più significative sono: le Grotte di Pignarelle di Palmi dove sono presenti numerosi ambienti collocati su diversi livelli, altre  grotte si trovano in località Affaccio, Rocca Campana, Cubola, nella località Grotte e Fosso Cropo nei pressi di San Mercurio, S. Leonardo "dell'Arenario", San Michele di Vitica, Trachina, tutte nel Territorio di Palmi e molte altre presenti nel territorio di Barritteri e Seminara. Questi siti uniti a molti altri, formavano la costellazione di laure, cenobi e monasteri dell’Eparchia delle Saline (Vallis Salinarum) oggi Piana di Gioia Tauro. Purtroppo, questo patrimonio non è oggetto di alcun intervento di tutela né valorizzazione.

 

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Ingresso grotta di Vallaretta con muro di fortificazione


A circa un km dal mare, vicino all'abitato di Palmi e confinante con quello di Rione Impiombato, in una insenatura di pietra tufacea ed arenaria dalle pareti alte e scoscese, talvolta a picco, al centro della quale scorre un fiumiciattolo, vi è un grosso insediamento di grotte, in località Pignarelle: sei di queste sono conosciute, di cui di una sappiamo anche il nome "Vallaretta", ma ve ne sono ancora altre da esplorare. Le grotte sono disposte su diversi piani e variano nell'ampiezza e nella profondità; in tre di esse vi sono incise delle croci; in quella chiamata Vallaretta, sul lato sinistro dell’entrata è presente un muro di fortificazione con finestra a bocca di lupo rivolta verso oriente, sulla volta d’ingresso nella roccia tufacea è scolpita una croce a bracci uguali e globetti allargati di tipo siro melchita; un'altra croce ben più interessante, perché vi sono poste alla sua base porta lumini, è quella vicina alla medesima grotta, questa sembrerebbe essere una croce  ansata copta, si tratta di una antica sepoltura cristiana ? Solo una sistematica ricerca archeologica lo potrà accertare.

Sul lato opposto, al di là del torrente, vi sono diverse grotte dislocate a varie altezze lungo il costone, due di queste grotte sembrano luoghi di culto con pianta longitudinale, di cui una, la più grande, è introdotta da un ampio ambiente con grossi pilastri, con corridoi trasversali e termina con un andamento a trifoglio. La sua grandezza lascia pensare ad un luogo di riparo per molte persone e forse di raduno; lungo i due corridoi, ai lati sono stati ricavati numerosi giacigli probabilmente a due piani, percorso il primo corridoio sulla destra, su fondo si scorge una scalinata scavata nell’arenario che porta in un altro piano della grotta, dove da un lato si apre una galleria che mette in comunicazione un altro ambiente, questo risulta essere in corrispondenza con l’atro corridoio parallelo; sul fondo di quest’ultimo corridoio, percorrendo la via di sinistra, si arriva in un altro ambiente, molto ampio la cui forma ricorda la Croce a doppie braccia; anche qui numerose mensole incavate con forma ad arco arabo, con funzione, forse, di porta Icona. Sul fondo un ambiente con tre anse a forma di croce ed in quella centrale, sul tetto si apre una cupoletta. Questo ambiente appena visionato negli anni 90 assieme ad altri amici, fu da noi battezzato “la Basilica”.

Ad un livello di poco più alto, ma dal lato Nord dell’insediamento, di trova una grotta, che abbiamo chiamato “la grotta dell’altare”. L’entrata è nascosta da una roccia calcarea che è stata tagliata per consentire l’accesso, la cavità anche questa scavata con strumenti rudimentali, si trova ad un livello di circa 2 metri più bassa rispetto l’esterno; da subito ci si trova in un vestibolo con al centro una colonna della stessa roccia, il tetto risulta basso, a causa del sollevamento del livello di calpestio a causa dell’adduzione di terra e materiale alluvionale;  difronte un primo ambiente di circa un metro più alto, non di particolare importanza forse un giaciglio del custode del luogo, mentre proseguendo a destra si scende con dei gradini scavati, ancora per circa un metro su un atro livello, dove lungo la parete di sinistra c’è una roccia lavorata a formare una specie d’altare sormontato da una nicchia, la cui forma desta una certa suggestione. Proseguendo sempre in discesa e passando per una specie di portale frutto dello scavo di quest’ultimo ambiente, si entra in una cameretta dalla forma tonda. Questa Grotta potrebbe essere l’ambiente più antico di tutto il complesso: La prof.ssa Sarah Minuto ha infatti ipotizzato che sia pure riutilizzato in vari periodi, ha conservato l’impianto architettonico costruttivo, tipico dei Templi primitivi, si tratti di un luogo di molto più antico di quello medioevale, forse Italico o ancora precedente. Forse di un luogo sacro dove si praticava “il culto degli antenati”[8]

 

[8] S. Minuto: Culto degli antenati. Venerazione rivolta ai defunti di una famiglia, di un gruppo, di un clan o di un popolo, che costituisce un elemento fondante dello spirito religioso di molte popolazioni e un importante fattore di identificazione sociale.

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L’altra quasi in corrispondenza, ma di livello più basso, anche se molto più piccola, è senz’altro quella meglio conservata. L’ingresso ha un nartece trilobato, centralmente sul tetto, alcuni individuano il simbolo del “Sole bizantino”[9] altri invece “il labirinto”[10].  Questa grotta appare più rifinita nelle forme, sull’arco d’ingresso c’è una croce incisa di tipo greco con i bracci di eguale misura, entrando a sinistra si scorge un piccolo ambiente circolare con dei sedili scavati nella parete, difronte sempre incavato nella parete, un giaciglio sollevato da terra e poco profondo, probabilmente in uso ad una sola persona. Lungo le pareti, diverse mensole incavate nelle pareti, di cui una sembrerebbe porta Icona; sul fondo è appena accennato un ambiente trilobato; verso l’uscita, su di una parete il cui stato è molto precario, vi sono incise lettere di una lingua a noi sconosciuta. Questa grotta -ipotizzando che il Complesso rupestre sia, come siamo indotti a credere, un sito monastico, utilizzato in un dato periodo anche come rifugio per un certo numero di cittadini- sia la grotta dell’Egumeno.

Sullo stesso livello ma proseguendo nel viottolo verso oriente, a strapiombo sul torrente, si giunge ad un altro gruppo di gallerie scavate nel banco di arenario, da noi battezzata “Grotta dei cunicoli” per via delle numerose gallerie che di aprono lungo quella principale, che corrisponde con l’ingresso. Questa zona dell’insediamento è stata da noi esplorata solo in parte, in quanto impediti da alcuni crolli e infiltrazioni di acqua; tuttavia le parti visionate appaiono molto interessati: una galleria in particolare sembrava molto profonda, da cui spirava una brezza di aria fresca, che non abbiamo percorso; nella galleria centrale, più ampia sia di altezza, che di larghezza, a circa 30 metri dall’ingresso, si apre un ambiente circolare dal diametro di circa sei metri, dove in una parete sono state notate delle tracce di colore. Proseguendo dritto lungo questa galleria (che ha numerosissimi innesti di altre gallerie con il tetto più basso), si giunge dopo circa 50 metri ad un altro ingresso (o uscita) dove nella parete di fondo, in basso sotto il livello di calpestio, si scorge una cavità scavata dentro la parete, lunga circa m. 1. 80 x m. 0,70 e profonda m. 0,90, che ci ha unanimemente suggerito di chiamarla “sepoltura”.

 

[9] Nel cristianesimo il sole è la casa di San Michele Arcangelo ed è anche un simbolo del Cristo, o degli attributi della figura mitologica di Cristo. Il sole raggiante è anche il sigillo di alcune antiche Città, intendendo che l’irraggiamento del cristianesimo è il cemento ideale per ogni società.

[10] I labirinti incisi nei luoghi di culto rupestri erano ad un tempo il sostituto dei pellegrinaggi in Terra Santa. E' per questo che talvolta si trova al loro centro il monaco (colui che era arrivato al centro) o il Tempio di Gerusalemme (simbolo del centro).

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Queste gallerie sono conosciute dalla gente del posto, alle quali attribuiscono lunghezze anche di chilometri, “una di queste gallerie conduce al campo sportivo vicino al Tracciolino” (ai piedi della montagna S. Elia). Probabilmente la narrazione popolare ha un fondamento reale, in quanto dopo del terremoto del 1908, il vallone del torrente che taglia tutta la città ed arriva a Pignarelle, è stato interrato con le macerie delle case distrutte e altro materiale, previa costruzione di una galleria di raccolta di acque piovane, che parte proprio dalla Via Mancuso e si biforca nella Piazza Lo Sardo: una parte confluisce nel Vallone S. Michele e sbocca alla Marinella, l’atra attraversa l’abitato e finisce a Pignarelle, questo vallone era conosciuto in prossimità delle grotte come “u scarricu” (lo scarico).


Dietro le quinte

L'esistenza di queste grotte era conosciuta a molti cittadini Palmesi, perché durante i bombardamenti della II° guerra mondiale là avevano trovato rifugio. A tal proposito nel 1991 abbiamo videofilmato una testimonianza particolare, quella di Todaro Maria Grazia, classe 1908, che nelle grotte ha vissuto da bambina e poi come rifugiata: essa afferma di avere appreso dell'antica esistenza delle grotte dai racconti del nonno e del padre; ricorda, da bambina, di aver chiesto al padre il perché in alcune grotte ci fosse incisa una croce, ma senza ricevere una risposta; il fratello, nello scavare vicino a una di queste grotte aveva trovato uno scheletro di un uomo sepolto, che al dito aveva un "ditale" simile a quello usato per cucire, che però si polverizzò in pochi minuti (per questo si pensa che fosse molto antico).

Questa testimonianza che conserviamo insieme ad altri particolari, è importante per la nostra ricerca perché attesta due cose fondamentali: la prima è che le grotte esistevano prima della guerra e prima che una di essa fosse usata come cava di sabbia. Infatti, era convinzione comune, anche tra gli studiosi di Palmi, che queste grotte fossero state scavate per estrarre la sabbia che sarebbe servita per la costruzione della vicina sottostazione ferroviaria; Questa ipotesi è senz’altro infondata in quanto si sa che e la pietra utilizzata per la costruzione delle strutture ferroviarie, arrivava in parte dalla cava della ditta “Fina” ubicata vicino la Stazione e la sabbia veniva portata con il treno da altre cave. Risulta vero, invece, che durante i bombardamenti le grotte furono utilizzate come rifugio, come per altro testimoniato dalla signora intervistata


A proposito di ipotesi non corrispondenti alle ricerche, su Wikipedia si trova scritto che il sito delle Grotte si chiamasse “Tarditi”, tale ipotesi è frutto probabilmente di un equivoco, in quanto “Tarditi” è il cognome del Commissario Regio per la ricostruzione del circondario di Palmi, precisamente il senatore Cesare Tarditi, che nei primi anni post terremoto del 1908 fece realizzare sedici quartieri baraccati per alloggiare la popolazione rimasta senza abitazione e, tra questi, l’attuale quartiere “Ferrobeton” dal nome della ditta edile che lo realizzò, che originariamente fu indicato (come tutte le altre case degli altri quartieri) “le Case di Tarditi”, (l’attuale quartiere Ferrobeton è compreso tra la Via Veneto e la Via 24 Maggio). La zona delle Grotte, (che non fu oggetto della ricostruzione) invece risulta, negli archivi di Stato borbonici e in quelli sia catastali che notarili del Regno d’Italia, il nome “Pignarelle” con alcune varianti “Pignarelli”.

Tornando al sito delle Grotte, è incredibile che per centinaia di anni non ci sia stata una ricerca, o una indagine storico/archeologica di questo importante sito Rupestre, considerato, con un approccio abbastanza superficiale, una semplice cava di sabbia.

Tale errata convinzione ha "depistato" gli studiosi e storici che sono stati così indotti a sottovalutare il luogo. La seconda cosa importante è che se venisse confermata la presenza di sepolture legate al culto degli antenati, così come noi crediamo, attesterebbe che le grotte di Pignarelle sono state frequentate (come alla vicine “Grotte di Trachina”), diversi secoli prima dell’insediamento monastico, già di grande importanza storica nel panorama calabrese.

Contrariamente "all'opinione comune", chi scrive ha sempre creduto che questo luogo meritasse molta attenzione e studio ed è per questo che nel 1991 ho invitato uno studioso francese, che conduceva ricerche nella nostra provincia con la CAST di Bari. Proprio tre giorni prima, vicino alla grotta di S. Elia Speleota a Melicuccà, era stato intervistato dalla televisione italiana, in occasione del ritrovamento di antiche sepolture di monaci bizantini e strutture di palmenti, il suo nome è Serge Collet antropologo, etnologo, ricercatore del C.N.R.S. (Parigi) al quale mostrai le fotografie delle grotte di Pignarelle con le croci incise: il ricercatore rimase stupefatto e volle visitare subito il sito.

Di seguito ci limiteremo a riportare in sintesi ciò che hanno detto e scritto studiosi e ricercatori da noi contattati e guidati sul luogo, riguardo la loro opinione sulle grotte di Pignarelle. Questo per evitare che si generi confusione (come è capitato purtroppo dopo le nostre prime divulgazioni e visite guidate), con pubblicazioni di articoli apparsi su giornali e riviste, che non sono state trattate con il giusto rigore scientifico che l'importanza del luogo impone.


DICHIARAZIONI DEGLI ESPERTI

 

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A LATO: 

Domenico Bagalà e Serge Collet

anno 1991 Pignarelle di Palmi

 

 

"anno1991"- Serge Collet - antropologo, ricercatore C.N.R.S. Parigi, collaboratore della CAST di Bari: "ci troviamo di fronte ad un grosso abitato monastico Italo Greco: il sito è molto interessante, si trova vicino al mare e non molto lontano da un'altra grotta molto importante, quella di "Trachina"; la grotta grande la definisco grotta rifugio per la popolazione e per i religiosi con muro di fortificazione esterno che ora è crollato; ha una dimensione di circa 100 metri di profondità e circa 60 metri di larghezza: la cosa importante è che sono state scavate a mani d'uomo a due livelli, nel fondo della grotta rifugio c'è una cappella perfettamente orientata ovest - est con tetto a cupola ovoidale; sui lati dei corridoi, strutture abitative con la presenza di particolari chiodi alle pareti usati in passato dai monaci Italo Greci; la tecnica di costruzione è riconducibile direttamente alle strutture della Cappadocia (regione dell'Asia minore Turchia dove si trova una antica città sotterranea scavata nel tufo, chiese, monasteri e abitazioni). Penso che questo luogo si dovrebbe recuperare e valorizzare e potrebbe essere inserito in un itinerario turistico basato sul mondo Italo Greco - bizantino di respiro Europeo"

 

"anno 1993"- Padre Giacomo Engels - Architetto, specialista in architettura rupestre e paleocristiana, Monaco Benedettino del Monastero di Chevetogne (Belgio):"Alcune delle grotte sono "orientate", questo è senz'altro un elemento che ci induce a pensare che in questo luogo abbiano vissuto dei monaci, ma non solo monaci, anche popolazione in un momento in cui si dovevano nascondere; alcune grotte sono state costruite con ricercata raffinatezza, parlo di quella con la croce grande, di sicuro luogo di culto; penso che questo luogo sia molto importante e non è escluso che dalle ricerche archeologiche emergano testimonianze oltre che bizantine, romane forse greche o addirittura dell'era del ferro".

 

"anno 1993"- Prof. Domenico Minuto Bizantinologo, Deputazione di Storia Patria della Calabria:

(Annotazioni per il complesso rupestre a valle di Palmi Reggio Cal. 1.12.1995)

(…) Le più piccole hanno pianta ad irregolare sezione di cerchio e presentano piccole incavazioni nelle pareti interne atte a sostenere lumi o altri piccoli oggetti. Alcune sembrano alquanto curate nel prospetto esterno dove, per tre di esse, è incisa una croce, ed una di queste croci è di tipo greco, con terminazione a globetto nei quattro bracci. La grotta grande definita "la Basilica" consta di un ampio vestibolo e di un corpo interno con possenti pilastri, il corpo interno è molto allungato (tipo es.: grotta della Solitudine, di Lentini; grotta di Bibinello di Palazzolo Acreide; grotta di Croce Santa a Rosolini: (cfr. A. Messina, "Le chiese rupestri del Siracusano") arricchito da una terminazione trilobata con due piccoli transetti. Le pareti sono solcate da alcune aperture ad arcosoli ed il piano di calpestio presenta degli ingrossamenti simili a tumuli. L'ambiente potrebbe essere interessato da sepolture. Ritengo che si tratti chiaramente di un luogo di culto. Queste grotte sono state frequentate in età cristiana, ma hanno ospitato non un complesso monastico, bensì un intero abitato, compresi i suoi luoghi di culto, per questo propongo la mia ipotesi di un temporaneo spostamento della vicina città di Taureana dopo la devastazione subita da un'incursione longobarda nel VI secolo e prima della sua ricostruzione. Due lettere di papa Gregorio Magno dell'anno 591 ci informano che i monaci della città erano stati dispersi da una incursione (D.Norberg, S.Gregori Magni Registrum Epistularum). D'altra parte, la "vita" di s. Fantino di Taureana, scritta dal vescovo Pietro, probabilmente nel sec. VIII, ci presenta la città vivente nel suo sito storico, anche se meno grande di un tempo, quando essa era "assai illustre" come testimoniavano le "rovine" che l'agiografo vedeva nei pressi della Taureana del suo tempo. Nel lasso di tempo fra la fine del sec. VI ed il sec. VIII potrebbe, dunque, collocarsi, la frequentazione del complesso rupestre di Palmi, ove si accerti, come credo, che esso ospitasse un abitato altomedievale e si accetti, come propongo, che si trattasse di quello di Taureana"

 

“anno 1997 -21 giugno” in occasione del convegno di studi "La Citta di Taureana nell'Eparchia delle Saline" organizzato dai Lyons club di Palmi,  dal Movimento Culturale San Fantino e dall’Associazione Protagora di Palmi - Prof. Spiridione Curunis - docente della Facoltà di Architettura del restauro dell'Università "La Sapienza" di Roma ed esperto di siti rupestri di età cristiana: "Mi sembra effettivamente che si possa trattare di grotte "luogo di culto", specialmente la grande grotta che voi chiamate "La Basilica": sembrerebbe senz'altro un insediamento monastico ipogeo, con la parte più profonda, un interessante impianto basilicale perfettamente orientato con cupoletta, le numerose pretuberanze del piano di calpestio interno alla "Basilica" mi lasciano pensare a probabili sepolture, che meriterebbero ulteriori indagini.

Sono dei luoghi molto interessanti che meriterebbero un recupero e una loro appropriata conservazione, perché si tratta di un insediamento molto antico facilmente riutilizzato nel periodo bizantino del monachesimo ascetico".


CONCLUSIONI

Il Movimento Culturale San Fantino con formale richiesta ha proposto alla Soprintendenza Archeologica di Reggio Cal. di inserire ufficialmente le Grotte di Pignarelle come zona di "interesse archeologico". Con nota del 2.2.1996 il Dirigente della Soprintendenza E. Lattanzi rispondeva di aver proposto al Comune di Palmi che questo importante sito fosse incluso tra quelli d'interesse archeologico nel nuovo P.R.G., in attesa di avviare un programma di indagine e conoscenza più approfondita in collaborazione con codesta Associazione. Il Comune solo nel 2017 ha accolto tale proposta nel P.S.C..

Il nostro auspicio è che le autorità locali si attivino al più presto prima che anche questo patrimonio non solo nostro, ma dell’Umanità, sia distrutto o compromesso, come e già avvenuto in passato per altri siti.

Il territorio di Palmi conserva numerose tracce del suo patrimonio storico giunto a noi attraverso i secoli, che noi dovremmo conoscere, per ritrovare la nostra identità di popolo e le nostre radici storiche, per conservarne la nostra cultura al presente e per le generazioni future, poiché un popolo senza storia è un popolo senza futuro. Per questo motivo crediamo che se le nostre testimonianze storiche locali venissero opportunamente tutelate e rese fruibili attraverso una valorizzazione appropriata, potrebbero contribuire efficacemente ad un rilancio culturale ed economico di Palmi.

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