C’è un paradosso nella storia della cultura italiana: due calabresi, Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato, furono i veri architetti della riscoperta del greco in Occidente, ma oggi i loro nomi sono sconosciuti ai più. Petrarca e Boccaccio, invece, celebrati come padri dell’Umanesimo, devono a loro la linfa vitale delle loro opere. Perché nelle scuole si studia solo chi raccolse i frutti, e non chi piantò gli alberi? Perché il Sud, ancora una volta, viene cancellato dal racconto della grandezza italiana?

Foto sopra: Barlaam di Seminara (1290-1348): Il calabrese che portò la Grecia in Occidente
Nato a Seminara, in Calabria, in una comunità di lingua greca, Barlaam fu teologo, filosofo, matematico e mediatore culturale tra Oriente e Occidente. Formatosi nei monasteri basiliani calabresi, assimilò la filosofia greca (Platone, Aristotele) e la teologia bizantina. Trasferitosi a Costantinopoli nel 1326, divenne abate e insegnante, ma le sue critiche all’esicasmo lo portarono a scontrarsi con Gregorio Palamas, costringendolo a rientrare in Occidente.
Il tradimento della storia: quando il Sud sparisce dai libri
Barlaam di Seminara, nato in una terra sospesa tra Oriente e Occidente, e Leonzio Pilato, suo discepolo e anch’egli calabrese di origine greca, furono figure rivoluzionarie. Senza di loro, Petrarca non avrebbe mai sognato di leggere Platone in greco, e Boccaccio non avrebbe scritto la Genealogia deorum gentilium, fondamento della mitologia rinascimentale. Eppure, mentre i nomi di Petrarca e Boccaccio risuonano nelle aule scolastiche, Barlaam e Leonzio sono fantasmi.
La colpa? Un sistema culturale che ha sempre guardato al Sud come a una periferia, incapace di riconoscere che proprio da quelle terre "marginali" sono nati i semi del Rinascimento. Barlaam, filosofo, matematico e teologo, insegnò a Costantinopoli e ad Avignone, sfidò l’ortodossia bizantina, e fu il primo a portare la lingua greca in Occidente. Leonzio Pilato, con le sue traduzioni di Omero, regalò all’Europa l’Iliade e l’Odissea. Senza di loro, Dante non avrebbe avuto Virgilio, e l’Umanesimo sarebbe rimasto muto.
Perché la Calabria non ha diritto alla sua gloria?
La storia di Barlaam e Leonzio è la storia di una Calabria che fu crocevia di civiltà, dove il greco si parlava nelle strade e i monasteri basiliani custodivano manoscritti antichi. Seminara, oggi un paese in cerca di riscatto, era allora un faro di sapere. Ma l’Italia unita, costruita sul mito del Nord industrioso e del Sud arretrato, ha sepolto questa eredità.
Petrarca, nelle sue lettere, ringrazia Barlaam definendolo «maestro», ma nei manuali scolastici non c’è spazio per quel calabrese che gli aprì le porte della Grecia. Boccaccio, che ospitò Leonzio a Firenze, scrisse che senza di lui «saremmo rimasti ciechi», eppure Leonzio non compare neppure in una nota a piè di pagina. È come se l’Italia avesse paura di ammettere che il suo Rinascimento nacque anche grazie al Sud.
Una questione di giustizia cultural
Ignorare Barlaam e Leonzio non è solo un errore storico: è un atto di discriminazione. Per secoli, il Mezzogiorno è stato dipinto come terra di ignoranza e arretratezza, ma la verità è che Napoli, Palermo e la Calabria bizantina furono centri di sapere paragonabili a Firenze o Venezia. Barlaam, che negoziò con papi e imperatori, e Leonzio, che tradusse Omero in una Firenze ancora medievale, sono la prova che il Sud non è stato solo sfruttato, ma anche derubato della sua memoria.
Perché non si insegna ai calabresi che uno di loro fu il primo a unire Platone e Aristotele alla teologia cristiana? Perché non si racconta che un altro calabrese, Leonzio, fu il primo professore di greco in Occidente, precursore di un’Europa multiculturale? La risposta è scomoda: raccontare questa storia significherebbe smontare il pregiudizio che il Sud sia solo terra di emigrazione e malaffare, e non culla di genialità.
Orgoglio calabrese: riappropriamoci della nostra grandezza
Ai calabresi è stato insegnato a vergognarsi delle loro radici, a nascondere il dialetto, a negare la complessità di una terra che fu greca, bizantina, normanna. Barlaam e Leonzio, invece, rappresentano l’orgoglio di un’identità ibrida e potente. Erano calabresi, sì, ma anche cittadini del Mediterraneo, capaci di parlare a Costantinopoli, Avignone e Firenze.
Oggi tocca a noi riscrivere questa storia. Le scuole calabresi dovrebbero iniziare l’anno studiando Barlaam e Leonzio, le università dovrebbero intitolare cattedre a loro nome, i Comuni dovrebbero erigere monumenti che ricordino al mondo che qui, in questa terra spesso umiliata, nacquero due dei più grandi mediatori culturali d’Europa.
Non chiedeteci di dimenticare
Petrarca e Boccaccio furono giganti, ma camminarono sulle spalle di due calabresi. Non è giusto che la loro luce oscuri chi li precedette. La Calabria non chiede carità, ma giustizia: riconoscete che senza di lei, l’Umanesimo non sarebbe stato lo stesso.
Barlaam e Leonzio non sono eroi minori: sono simboli di un Sud che non si piega, che lotta per far emergere la sua voce. Studiarli non è un atto di regionalismo, ma di verità. Perché la cultura non ha confini, ma ha radici. E le radici dell’Italia, almeno in parte, affondano proprio qui, in Calabria.
Finché Barlaam e Leonzio rimarranno nell’ombra, l’Italia non potrà dirsi davvero unita. È tempo di restituire alla Calabria il posto che le spetta: non periferia, ma cuore pulsante della storia europea.

Foto Sopra : Leonzio Pilato (†1365/66): Il calabrese che tradusse Omero per l’Europa
Nato in Calabria (probabilmente a Seminara) da famiglia greca, monaco basiliano e allievo di Barlaam di Seminara, Leonzio Pilato fu il primo traduttore di Omero in latino. Portato a Firenze da Boccaccio (1360), insegnò greco e tradusse l’Iliade e l’Odissea, rendendo accessibili per la prima volta i poemi omerici all’Occidente.
Di carattere burbero, fu anche docente allo Studio Fiorentino, inaugurando l’insegnamento del greco in Europa. Morì in un naufragio nel 1365/66.