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Una  vacanza da vivere a colori

IL BLOG DI CALABRIADREAMIN

COSA VEDERE IN CALABRIA: MORANO CALABRO

2020-06-11 23:32

calabria dreamin'

BORGHI,

COSA VEDERE IN CALABRIA: MORANO CALABRO

Morano è un comune calabrese di 4 308 abitanti situato nella zona settentrionale della provincia di Cosenza, nell'alta valle del fiume Coscile (antico

Morano è un comune calabrese di 4 308 abitanti situato nella zona settentrionale della provincia di Cosenza, nell'alta valle del fiume Coscile (antico Sybaris di epoca magno-greca) alle pendici del massiccio del Pollino.  Il territorio in cui si trova il centro appartiene al complesso montuoso di Orsomarso e Verbicaro.

È uno dei principali centri del parco nazionale del Pollino e dal 2003 fa parte del circuito dei Borghi più belli d'ItaliaBandiera Arancione del Touring Club Italiano.

E’ uno dei centri storici più intatti e affascinanti di tutta la Calabria ed è soprannominato paese presepe per le sue viuzze, tortuose e in forte pendenza, in parte scavate nella roccia, che s'infilano in un compatto tessuto di case, chiese, monasteri, archi, portali, sottopassi, scalinate, piazzette.

Nel borgo però offre una’ampia quantità di opere d'arte, firmate anche da artisti di primo piano come il veneto Bartolomeo Vivarini e il toscano Pietro Bernini

Escher,i l grande incisore olandese visitò Morano Calabro nel 1930 e ne ha lasciato una splendida rappresentazione speculare, nel senso che il paese e il paesaggio circostante sono da lui raffigurati alla rovescia, come se fossero visti allo specchio.

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FESTA DELLA BANDIERA

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ORIGINI

Sull'origine del toponimo e si sono ipotizzate diverse teorie

  • Che sia stata fondata o abitata dai mori, (per assonanza etimologica)
  • Origine Magno Greca per via verbo greco μερυω (merùo), cioè "raccogliere insieme, cumulare"
  • Origine Ebraica per via dell’appelativo Mòren adoperato nel Talmud con il significato di castello.

Tuttavia, Il borgo fu verosimilmente fondato dai Romani intorno al II secolo a.C. anche se La località era probabilmente abitata già dal 300 a. C

La prima evidenza certa è il Muranum che compare come stazione della Via Capua-Rhegium comparsa per la prima volta in una pietra miliare del II secolo a.C., la cosiddetta Lapis Pollae (o lapide di Polla), nella quale sono contrassegnate le distanze dell'antica strada consolare romana comunemente denominata via Annia-Popilia.

Esiste anche un altro Morano, in provincia di Alessandria: per distinguere i due comuni, subito dopo l'Unità d'Italia, re Vittorio Emanuele fece aggiungere a quello piemontese il suffisso “sul Po”, e a quello meridionale l'aggettivo “Calabro”.

La grande povertà costrinse i  moranesi,ad emigrare tra il 1881 e il 1901, soprattutto verso il Brasile: si calcola che attualmente circa 20mila abitanti di Porto Alegre, città brasiliana ora gemellata con il borgo calabrese, siano di origini moranesi.

STORIA

Battaglia di Petrafòcu

Ogni anno, nel mese di maggio, tutta Morano Calabro si ferma per tre giorni. Accade attorno al 20 maggio, festa patronale di san Bernardino da Siena, per celebrare la Festa della bandiera, in cui si rievoca la leggendaria battaglia medievale, che qualcuno fissa all'anno 1096, da cui si vuol far risalire la nascita dell'identità moranese.

Durante lo scontro, noto pure come battaglia di Petrafòcu dal nome della contrada Pietrafoco dove si sarebbe svolto, uno dei saraceni fu fatto prigioniero e decapitato: la sua testa fu poi esibita nelle strade del borgo, a testimoniare che i mori avevano avuto la peggio.  La testimonianza più antica di questo uso iconografico della testa di moro è in una lapide del 1561, sopra una fontana di piazza San Nicola.

 

 

Lo scontro della scala di Morano

 

Lo scontro della Scala di Morano, avvenne nel 1496 durante il transito del condottiero andaluso Gran Capitano Consalvo de Córdoba a capo delle truppe del re Ferdinando.

Il Consalvo si trovò a fronteggiare una manipolo di mal intenzionati moranesi lungo la salita detta scala di Morano, oggi nota come il Crocifisso. Il condottiero de Córdoba fu costretto a ripiegare nella vicina Castrovillari vista la resistenza degli abitanti.

Venuto quindi a conoscenza che nel castello di Laino si rifugiarono alcuni nobili ben armati, fra i quali il Conte di Mileto e Alberico Sanseverino, il Capitano aggirando il blocco, riuscì ad occupare Morano, stanando a sorpresa gli imboscati nel loro rifugio. È possibile che in detto scontro il Sanseverino restasse ucciso, mentre gli altri congiurati furono neutralizzati tuttavia, è credenza popolare che Morano fosse risparmiata dai saccheggi delle truppe.

Si narra che il gran Capitano incontrò un frate francescano lungo la strada verso Morano, il quale cercò di dissuaderlo dal compiere atti di rappresaglia contro i moranesi. Una volta giunto in paese e varcata la soglia della chiesa di San Bernardino, Consalvo riconobbe proprio nella statua del Santo le stesse sembianze del monaco nel quale si era imbattuto lungo il cammino. Così, deposta la spada ai suoi piedi, si convinse a non infierire sugli abitanti. Non è chiaro se questo mito sia scaturito da un artificio dello stesso Consalvo, sta di fatto che da tale racconto pare si origini la devozione a San Bernardino, che la tradizione vuole aver assunto il patronato di Morano a seguito di questo episodio

 

Battaglia di Campotenese

La battaglia di Campotenese, combattuta il 9 marzo 1806 fra esercito borbonico guidato dal generale Jean Reynier  e le truppe napoleoniche comandate dal generale Roger de Damas, uno scontro che cambiò le sorti del Meridione d'Italia. I francesi, dopo aver preso Napoli il 15 febbraio, subito presero a incalzare sui monti le truppe borboniche, spingendole verso sud. Presa Lagonegro, obbligarono le truppe napoletane a ritirarsi per la valle di San Martino fino al piano di Campotenese, senza avere l'accortezza però di difendere adeguatamente le sommità che lo circondano,

Per i borbonici, in numero considerevolmente superiore rispetto ai francesi, fu una disfatta totale: le altre divisioni del Regno di Napoli, appreso della sconfitta, fuggirono verso la Sicilia, per varcare lo Stretto di Messina e così lasciare tutto il Sud continentale in mano ai francesi.

DA VEDERE

Museo dell’agricoltura e della civiltà contadina​

Il MuSAP (Museo di Storia dell’Agricoltura e della Pastorizia) di Morano Calabro (Cosenza) è stato ideato e realizzato dal Prof. Francesco Mainieri (1930-2015), che ha recuperato dall’oblio e dalla distruzione oltre 800 reperti (attrezzi e strumenti di lavoro, utensili di vario genere, oggetti di uso domestico, ecc.).

Il parco della lavanda

 

Nel 2007 una coppia di coniugi del luogo ha fondato il Parco della Lavanda, avviando una coltivazione di Loricanda, (una rara specie autoctona di Lavanda Loricata, che cresce spontanea nelle pietraie del Parco Nazionale del Pollino tra i 900 e i 1700 metri).

 La Loricanda, più piccola rispetto alla lavanda più nota (è alta al massimo 40 cm) si è rilevata un ottimo prodotto per la farmacopea e la cosmesi. La coltivazione in pieno campo nella Piana di Campotenese, a circa 1.100 metri sul mare, ha consentito di far nascere il Parco della lavanda, un progetto agricolo che comprende anche un affascinante e colorato Giardino delle lavande, piacevole per gli occhi come per l'olfatto.

 

l Parco della Lavanda è un progetto agricolo finalizzato a diffondere la conoscenza di questa pianta, la "lavanda vera" (L. Angustifolia).
La "lavanda vera" cresce spontanea nell'intera area del Parco Nazionale del Pollino, a quote tra i 900 e 1700 metri di altitudine, soprattutto nell'area di Campotenese.
Fino alla metà del secolo scorso, la raccolta della lavanda spontanea era fonte di reddito per le popolazioni locali. Una volta raccolta, in parte veniva cotta (distillata) per gli oli essenziali ed in parte venduta all'industria farmaceutica.
A causa delle opere di rimboschimento fatte negli anni 50/60, gran parte è scomparsa ed, oggi, gli esemplari presenti sono pochi. Da qui l'idea di preservarla per evitare che scomparisse. Sono state selezionate 8 piante, poi consegnate al CNR dove è stato curato il mantenimento delle caratteristiche originali. Qui sono stati selezionati i 3 ecotipi migliori ed ottenute tutte le nuove piante visitabili nel Parco.

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Il Nibbio

museo naturalistico privato, documenta la flora e la fauna del monte Pollino attraverso la ricostruzione di ambienti; è ospitato nel Centro Studi Naturalistici del Pollino, nei pressi del castello.  Un recente progetto prevede il restauro di una chiesa del 1600′ per realizzare il ‘Purgatorio Music Lab’ : un laboratorio permanente di musica e arti visive per la collettività.

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Il Castello Normanno-Svevo

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Appare in ruderi sulla sommità dell'abitato in posizione strategica e dominante tutta la valle dell'antico Sybaris. Le origini risalgono verosimilmente all'epoca romana quando fu eretto un fortilizio, o probabilmente un torrione di avvistamento, il cui basamento in opus incertum rappresentò il nucleo originario sul quale si edificarono i rimaneggiamenti d'epoca normanno-sveva e rinascimentali.

 

Durante il medioevo la sua posizione soprelevata lungo l'asse viario della antica via Popilia attirò l'attenzione della milizia sveva; fu da allora sede feudale a cominciare da Apollonio Morano, primo feudatario di cui si abbia notizia. Nel XIII secolo l'antica torre romana venne probabilmente ampliata con l'aggiunta di una cinta muraria e di alcune sale, così da conferire all'edificio un primigenio aspetto di castello.

Teatro di numerosi episodi d'arme, si ricorda fra i tanti, durante la fase della Guerra del Vespro, l'incursione dei mercenari Almogavari che, assoldati dagli Aragonesi, conquistarono Morano difensivamente impreparata e ne espugnarono il castello facendo prigioniera Benvenuta, detta la Signora di Morano, moglie del feudatario Tancredi Fasanella. Questa, nel seguente anno 1286, essendo Morano con Castrovillari e Taranto passata alla fedeltà di Carlo d'Angiò, da prigioniera divenne carceriera di Manfredi di Chiaromonte, suo congiunto di parte aragonese

 

Determinante è però un più radicale e ambizioso restauro del primo quarantennio del Cinquecento, nel periodo compreso fra il 1514 e il 1545. Avviato per volere del feudatario Pietrantonio Sanseverino, il progetto si ispirò al modello più noto del Maschio Angioino di Napoli e per questa fabbrica vennero chiamate alcune fra le più abili maestranze del tempo. Il Castello fu dunque la residenza del feudatario a Morano in maniera più o meno continua fino ai primordi del '700 insieme al Palazzo dei Prìncipi che sorge all'ingresso del borgo accanto alla porta sita sull'accesso dell'antica via delle Calabrie. L'ampliamento del Sanseverino conferì al maniero l'aspetto architettonico e difensivo di cui oggi restano le vestigia. Non se ne ebbero in seguito notizie fino al 1648, quando il feudo passò a Don Ettore dei Principi Spinelli di Scalea, i cui discendenti lo mantennero fino al 1811.

La descrizione più accurata, di come doveva presentarsi la fortezza sanseverinesca prima dei bombardamenti francesi del 1806 e prima della sua definitiva rovina ad opera dei principi Spinelli di Scalea proprietari dal 1600 alla fine del 1800, che permisero di asportare travi e blocchi di tufo, è dello storico Biagio Cappelli. "Il Castello sorgeva su pianta rettangolare, aveva sei torri cilindriche ed era diviso in tre piani. Quattro torri quasi interamente aggettanti dalla cortina forate da grandi finestre rettangolari sporgevano dagli angoli dell'edificio che nel centro dei lati lunghi ostentava un'altra torre maggiore. Discretamente conservata è, la torre centrale di sud, che internamente, a circa un metro da suolo, lascia la forma cilindrica che ha all'esterno per assumerne una quadrata, che mantiene poi fino alla copertura formata da una specie di volta a mezza botte originalissima. Questo torrione è leggermente rastremato in modo che la costruzione rientra lievemente ad ogni piano. Posa poi su una specie di rivellino per qualche metro, che scompare intorno alle torri laterali, che richiama quello che si vede intorno ad una delle torri di Castelnuovo di Napoli. Tutte e tre le torri di questa facciata continuano perpendicolari sotto la linea del cosiddetto rivellino per qualche metro, e si vanno poi a posare su barbacani semicilindrici, aggettanti anch'essi da una cortina, che precipitano nel fossato per m 8,50. Infine questa facciata non è egualmente divisa dalla torre centrale, ma lievemente asimmetrica. La parte a nord seguiva lo stesso sistema ed anche qui si notano i barbacani benchè meno alti, per l'indole del terreno. Gli altri due lati, quello a ponente era munito di ponte levatoio perché l'unico in contatto col caseggiato, non mostrano più nessuna particolarità. Sono intanto da distinguere in quello che oggi abbiamo del castello due parti. La prima, inferiore, costituita da barbacani dalla loro cortina in una costruzione di grosse pietre a vista di colore ferrigno è unico resto di una fortificazione più antica medioevale, sulla quale, ricolmata, si innalzò poi la parte superiore che anche nel materiale costruttivo e nel colore giallastro della muratura si distacca da quella. Non sappiamo fin dove arriva il rifacimento di Pierantonio, che a Morano preferiva abitare questa fortezza invece del palazzo costruitovi nella parte inferiore del borgo". Oggi della vecchia sentinella, posta a guardia della porta del passo di Campotenese, rimangono solo tre torri, una quadrata altissima e due cilindriche più tozze, quanto basta per conferirle un aspetto unico e fiabesco.

Grotte di San Paolo

Sorgono a pochi chilometri dal centro abitato nella contrada omonima. Esplorate dall'ottobre 1980, la loro conformazione è assai articolata ed interessante sotto un profilo speleologico. Sono infatti ricche di concrezioni calcaree, stalattiti e da esili filamenti coralliformi(CAPELLI D'ANGELO). Si sviluppano per 245 metri con un dislivello di 41; sorgono sul versante meridionale del monte Cappellazzo a circa 682 m s.l.m. con tre ingressi, stratificati nei calcari mesozoici, i quali sboccano in un pozzo franoso dalla profondità di circa 20 m dai quali si accede ad una serie di caverne ed una grande sala centrale. Praticabili solo da esperti speleologi, non sono valicabili nella totalità della loro estensione per via di un torrente sotterraneo che le attraversa.

 

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 I piatti di pasta, tradizionalmente ancora fatta a mano, comprendono i cavateddri (una specie di gnocchi), i rascateddri (maccheroni con sugo di salsiccia) e le lagane (tagliolini con fagioli o ceci). Piatto tipico di Morano, anche se qui siamo lontani dal mare, è lo stoccu e patati, stoccafisso presentato con patate 'mbilacchiate (cioè attaccate, ovviamente alla padella, colorandosi di marroncino senza bruciarsi) e cancareddri cruschi, ovvero peperoni secchi, quelli che spesso si vedono appesi a seccare alle finestre, in colorate reste.

 

Ben organizzata la filiera della lavorazione del latte, specie di pecora della zona: tra i prodotti più genuini c'è infatti il “pecorino di Morano”. Un dolce tipico natalizio sono invece i cannaritoli o cannarituli, a forma di piccoli cannoli e ricoperti di miele.

Sull'idilliaco altopiano di Campotenese, oltre a un consorzio per la produzione di funghi, c'è una delle eccellenze della zootecnia calabrese, una moderna azienda per la produzione di latticini, formaggi, carni e salumi, con caseificio, allevamento di bovini e dei suini. Tra i formaggi, da segnalare il Moretto del Pollino, il caciocavallo (stagionato o affumicato), il canestrato, il burrino, le ricotte e le mozzarelle. Fra i salumi (molti dei quali arricchiti dalla pregiata paprika DOP di Senise, un felice connubio calabro-lucano) ci sono capocollo, prosciutto crudo, filetto, salsiccia e soppressata.

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