COSA VEDERE IN CALABRIA:
LA MISTERIOSA TORRE ALBA
CAVALIERI TEMPLARI
Una misteriosa Domus mansiones tra la Vallis Salinarum e la Limina
Come è noto, i Templari furono dei monaci-cavalieri che costituirono uno degli Ordini religioso-militare più celebri del mondo cristiano medievale.
La Militia Templi «Milizia del Tempio» [1] venne creata a Gerusalemme intorno al 1120 dal nobile francese Ugo di Payens circa venti anni dopo la prima crociata (1095-1099), indetta proprio in Aspromonte e conclusasi con la conquista da parte dell’esercito cristiano della Città Santa [2].
Difatti, la ragione per la quale venne creato l’Ordine templare fu quella di proteggere dagli attacchi dei musulmani i pellegrini cristiani in Terra Santa. Di conseguenza, l’apparato militare templare in Medio Oriente venne mantenuto, soprattutto a partire dalla metà del XII secolo, grazie alle rendite provenienti dalla gestione dei numerosi possedimenti europei dell’Ordine. Pertanto, in tutta Europa, ed anche in Calabria, i Templari costituirono sia delle domus «case», spesso veri e propri centri di produzione agricola, che delle domus-mansiones «case-ricovero» [3].
Queste ultime erano dislocate in luoghi strategici, lungo i principali Passi viari e fornivano vitto, alloggio e protezione ai pellegrini e viaggiatori [4].
Tra i molti studiosi che si sono impegnati nello studio della presenza templare in Italia è senz’altro da annoverare Bianca Capone [5], la quale, a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, ha condotto diverse ricerche documentali finalizzate a ricostruire la dislocazione delle domus templari nella penisola italiana. Per quanto riguarda la Calabria, la Capone ha individuato delle domus templari in diverse località, ma quella che ha destato il nostro interesse è stata l’indicazione di una probabile domus che doveva trovarsi tra la Valle (delle Saline?) e un passo montano (la Limina?).
Da una ricerca topografica ed anche sul territorio si è riusciti ad individuare la probabile Domus mansiones presso la località Torre Alba a Cinquefrondi R.C., un passo strategico di valico direttamente collegato con l’altopiano del Passo della Limina o del Mercante, a 822 metri sul livello del mare, posto sull’istmo tra i comuni di Cinquefrondi e Mammola, che rappresenta il confine naturale dell'Aspromonte con la catena delle Serre calabre e tra il versante jonico e quello tirrenico della Vallis Salinarum, non lontano dal monastero di San Nicodemo Santo dell’anno 1000, formatosi nel monastero di S. Fantino a Taureana. Il toponimo "Limina" deriva dal latino, "Limen" (confine) e probabilmente fu dato proprio dai Cavalieri Templari che avevano all’epoca il controllo e protettorato del Porto di Tauriana e di tutta la Vallis Salinarum. Infatti, prima il passo veniva chiamato col toponimo greco "λίμνη" (pantano, stagno) che era riferito ad un laghetto.
Le domus templari italiane erano spesso gestite da un preaceptor, detto anche prior, [6] che poteva avere la sede nell’abbazia di Taureana.
Ritornando alla domus mansiones di Torre Alba, che si trova lungo la strada “Petrucciana”, ha un perimetro rettangolare, purtroppo cementificato con intonaci moderni, dotato di torre di avvistamento di forma circolare con merlatura tipica del periodo medioevale che svolgeva la funzione di avvistamento. Infatti dalla sommità della torre si vede il mare Tirreno ed il litorale da Nicotera a Taureana ed anche la stessa torre di Taureana. Nella base vi è una angusta cella con un cancello dalle grosse sbarre in ferro. Di fronte, nei pressi di una fonte ancora oggi utilizzata, vi è una chiesa a navata unica con abside semicircolare, dove si scorgono chiare fasi di ricostruzione, tra le quali si evidenzia una fase in opus mistum medievale. Ai lati sono presenti delle grandi finestre con arco gotico, 3 per lato e più una grande in facciata dove è inserita una Croce a braci uguali. Le braccia di questa croce si rivolgono verso i quattro punti cardinali, per questo è la base dei simboli d'orientamento di qualsiasi livello d'esistenza dell'uomo.
La sua verticalità e la sua orizzontalità legano il cielo alla terra, unendo lo spazio-tempo al centro. Il totale delle finestre e quindi di 7.
Il numero 7 per la religione cristiana ha un simbolismo particolare: 7 sono i giorni in cui Dio creò il mondo e l'universo (tra cui, nello specifico, il settimo giorno, quello in cui Dio riposò), 7 le virtù e vizi capitali, 7 libri nella Bibbia, 7 i doni dello Spirito Santo. Nel salmo 92 il nome di Dio compare 7 volte. Il versetto centrale ("tu, o Signore, sei l'eccelso per sempre") è preceduto e seguito da 7 versetti (…).
La facciata di questa chiesa è stata fortemente influenzata dall’architettura Templare.
Il quadro architettonico è stato organizzato a rappresentare il Tempio, nella sommità vi è un timpano a tutto sesto e frontone, sul tetto sul lato Sud, una croce detta croce di Gerusalemme, ai lati due di colonne con capitello dorico e abaco dotato di echino semplice, su cui poggia il doppio ordine di architrave a rilievo che sorregge il timpano, cioè la volta celeste che richiama sempre al Tempio, che è anche un simbolo mistico.
In questa prospettiva, la chiesa non è semplicemente un monumento, ma è un santuario, un Tempio. Il suo fine non è solo quello di "riunire” i fedeli in preghiera, ma di creare per essi un ambiente che permetta alla Grazia di manifestarsi meglio. Nel pensiero tradizionale la concezione del tempio non è lasciata all’ispirazione personale dell’architetto, ma è data da Dio stesso.
In altre parole il tempio terrestre è realizzato conformemente ad un archetipo celeste comunicato agli uomini attraverso l’intermediazione di un profeta, e questo è ciò che fonda la legittima tradizione architettonica Templare.
Giacché il Tempio rappresenta il Corpo di Cristo, la porta, che ne è il riassunto, deve anch'essa rappresentare Cristo.
Nelle ante della porta, sono scolpite nel legno 4 cerchi con un ulteriore cerchio al centro.
Numerosi autori paragonarono il rapporto tra Dio e la Creazione con quello esistente tra il Centro e il Cerchio, che rappresentano i diversi gradi della manifestazione universale dell’Essere Unico non manifestato.
Tra le figure geometriche, il Cerchio è simbolo di tutto ciò che è Celeste: il Cielo, l’Anima, l’Illimitato, Dio.
Per questo motivo è presente nel pavimento esterno dell’ingresso alla chiesa una croce immissa florense (passare attraverso Dio).
L’orientamento della chiesa con ingresso ad Oriente, la rende ancora più interessante vediamo perché.
Sin dagli albori del cristianesimo in Oriente era diffusa la tradizione di rivolgere i templi, o più in generale i luoghi di culto, verso la direzione est secondo il criterio denominato “Versus Solem Orientem” in quanto, analogamente ai pagani, anche per i cristiani la salvezza e la rinascita erano collegate alla generica direzione cardinale orientale.
Dal 999, anno in cui salì al soglio pontificio Papa Silvestro, in una delle sue bolle papali veniva raccomandato esplicitamente il criterio “Versus Solem Orientem”. In realtà non tutti seguirono l’indicazione del Papa, infatti moltissimi luoghi di culto furono costruiti con l’abside diretta verso occidente invece che verso oriente.
Poi dalla seconda metà del 400, le orientazioni di diverse chiese vennero invertite e costruite con l’abside rivolta ad oriente, in modo che sia l’officiante, che i fedeli, pregassero rivolti nella direzione del sorgere del Sole. Durante l’VIII secolo questa abitudine si interruppe di nuovo per alcuni anni, per venir ripristinata durante i secoli successivi. Le cause di queste inversioni di tendenza non sono note, anche se gli studiosi hanno formulato alcune ipotesi (…).
Generalmente sono poche le chiese risalenti al periodo in cui avvennero le inversioni della direzione di orientazione sopravvissute fino ai giorni nostri e di cui sia possibile un’accurata misurazione della direzione del loro asse.
Nonostante ciò, esistono eccezioni illustri, che conservano la temporanea tradizione di orientare l’abside verso occidente, esse si trovano entrambe a Roma e sono la Basilica di S. Pietro e quella di S. Giovanni in Laterano, e, come abbiamo visto, anche nella chiesetta Templare di Torre Alba, a Cinquefrondi, in Calabria, che supporta una datazione compatibile con l’ipotesi funzionale ipotizzata.
.
la comparazione delle murature
SPONSOR ARTICOLO OFFERTO DA:
Curatrice della rubrica Goya di Calabriadreamin' :
Carmen Alba Caratozzolo
BIBLIOGRAFIA
[1] I membri della confraternita creata da Ugo di Payens vennero chiamati Templari o fratres Templi «fratelli del Tempio» poiché avevano la loro sede principale in un palazzo collocato nei pressi dei resti del Tempio di Salomone a Gerusalemme (Frale 2004).
[2] Cardini Franco, I Templari, Firenze 2011, Giunti, pp. 31-32 – vedi anche Antonella Musitano “La Chanson d’Aspremont, Reggio Calabria 2019, Laruffa Editore.
[3] Frale Barbara, I Templari, Bologna 2004, Il Mulino, pp. 68-69.
[4] L’Ordine templare aveva diviso le numerose domus possedute in varie province. Per quanto riguarda le domus italiane, queste si trovavano nella provincia Italia, corrispondente all’Italia centro-settentrionale, oppure nella provincia Apulia, ovvero nel territorio della Calabria e il Regno di Sicilia (Bramato 1991).
[5] Nel 1983 Bianca Capone fu la principale fondatrice della L.A.R.T.I. (Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani), un’associazione che si occupa soprattutto di rintracciare gli insediamenti templari in Italia.
[6] Le domus templari italiane erano spesso gestite da un preaceptor, detto anche prior (Bramato 1991).
[7] https://it.dreamstime.com/fotografia-stock-mattone-e-muratura-di-pietra-nelle-vecchie-pareti-di-un-castello-medievale-image76983037
Inoltre si consulti:
Capone Bianca, I Templari in Italia, Milano 1977, Armenia, p. 144.
Capone Bianca, Quando in Italia c’erano i Templari, Torino 1981, C. Capone, pp. 177-178.
Capone Bianca, Alla ricerca delle mansioni templari. Italia centrale e meridionale, Torino 2009, Federico Capone, pp. 69-76.
Capone Bianca, Imperio Loredana, Valentini Enzo, Italia templare, Roma 2011, Edizioni Mediterranee, pp. 196.
Bramato Fulvio, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Vol. I. Le Fondazioni, Roma 1991, Atanòr, pp. 154-157, 174.