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THE CALABRIA DREAMIN BLOG

COSA VEDERE A IN CALABRIA: LA MITOLOGICA SCILLA, LA NINFA DELLO STRETTO

2021-03-17 00:42

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COSA VEDERE A IN CALABRIA: LA MITOLOGICA SCILLA, LA NINFA DELLO STRETTO

Scilla è una rinomata località turistica situata su un promontorio all’ingresso settentrionale dello stretto di Messina.

COSA VEDERE A IN CALABRIA: LA MITOLOGICA SCILLA, LA NINFA DELLO STRETTO

Scilla (anticamente U Scigghiju in Reggino) è un comune italiano di 4 733 abitanti della provincia di Reggio Calabria in Calabria.

È una rinomata località turistica situata su un promontorio all’ingresso settentrionale dello stretto di Messina.

 

Anche Ulisse, come racconta Omero,sfuggì a fatica alla forza distruttrice del mitico mostro a sei teste, che da una rupe impervia assaliva le navi nelloStretto. Pittoresco borgo della Costa Viola (m 72, ab. 5000 circa) un tempo
dedito alla pesca del pesce spada, Scilla è oggi un grazioso centro balneare con una lunga spiaggia accarezzata da acque limpide e atmosfere da vecchio borgo marinaro.

Al tramonto il mare assume quelle incredibili tonalità che
hanno valso a questo tratto di litorale il nome di Costa Viola. Sullo sfondo, la sagoma di Capo Peloro annuncia la vicinissima Sicilia.

Scilla è situata sull'omonima punta, che sorge 22 km a nord del capoluogo: il Promontorio Scillèo, proteso sullo Stretto di Messina, che anticamente veniva infatti denominato Stretto di Scilla.

Il paese si divide in tre quartieri: Marina
Grande, San Giorgio e Chianalea, tutti
legati alla Rocca sulla quale si distende
il maestoso Castello. Borgo tra i più
pittoresche della Calabria, posizionato
ad anfiteatro declinante verso le baie di
Marina Grande e Chianalea; quest’ultima
borgo di pescatori. Importante
centro turistico della Costa Viola. Scilla
conosciuta come Aquila del Tirreno,
osservata dall’alto assume la forma di
un aquilotto con le ali dispiegate, il cui
corpo centrale è costituito dal quartiere
alto del borgo marinaro.

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Origini del nome

Il toponimo scylla ("cagna") richiama un misterioso mostro che sarebbe il responsabile di tempeste scatenatesi sul mare che determinarono la fine di molti naufraghi.

 

 

Lo Stretto, Scilla e Cariddi: gli orribili vortici della mitologia sono una realtà ancora oggi ed ogni 6 ore i questi "Mostri", formano i mulinelli che portano le navi sulle aguzze rocce di Pacì o sulla punta del Faro. La “rema”, la corrente che porta le acque del Tirreno nello Ionio e viceversa, si inverte ogni sei ore; lo spettacolo dell’incrocio della “montante” con la “scendente”, visto dalla costa Viola, da Pacì o da Cannitello è unico, di impressionante forza e bellezza. E’massimo con vento forte contrario e luna piena. 

 

Descritta da Strabone come uno scoglio simile a un'isola, Scilla mantiene tutt'ora i tratti di questo paesaggio. I suoi pochi abitanti furono degli abili navigatori e conoscitori delle rotte, notizia questa confermata da San Girolamo.

 

 

Storia

Le origini sono antichissime, confuse tra mitologia, storia, leggenda e poetiche immagini alimentate per millenni dalla suggestività dell'ambiente naturale.

 

Scilla è l’antico Scyllaeum, la cui storia è caratterizzata dal classico mito legato al suo nome. Sul promontorio
sorse l’Oppidum Scyllaeum, ricordato da Plinio, che col tempo crebbe d’importanza. Fu conquistata nel IX secolo dai Saraceni e nel XI secolo dai Normanni;
nel 1255 Pietro Ruffo, in lotta con Manfredi, ne fortificò il castello; nel 1282 fu rifugio per le navi di Carlo I d’Angiò dopo l’insuccesso dell’assalto a Messina. Nel Seicento la città fu arricchita da Giovanna Ruffo che fece
realizzare alcuni edifici importanti tra cui la Chiesa Madre. La cittadina fu poi conquistata da Carlo di Borbone.
Per Scilla ci fu un periodo di benessere economico e culturale che però fu interrotto dal terribile terremoto del
1783 che la devastò causando molte vittime e distruggendo parecchi edifici. Durante l’Ottocento la città ebbe un periodo di grande floridezza grazie alla sua posizione sullo Stretto.

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Mitologia e filologia

 

Secondo la mitologia greca, Scilla era una ninfa marina che per gelosia fu trasformata da Circe in un mostro mentre faceva il bagno in una caletta presso Zancle (l'odierna Messina); al posto delle gambe ebbe sei teste di cane che latravano, e lunghe code di serpente. La storia è raccontata nell'Odissea e nelle Metamorfosi di Ovidio. Per chi però non s'accontentasse delle narrazioni mitologiche, ecco un'interessante ipotesi filologica delle origini sia dei nomi sia del mito di Scilla e Cariddi:

"Nell’antichità, a causa della tenuità e precarietà dell'informazione, spesso accadeva che voci e dicerie col passare dei secoli si accrescessero (fama crescit eundo, dicevano infatti i latini, o anche rumor multa fingit) fino a perdere il loro originario significato, talvolta addirittura trasfigurandosi in mitologia; quella della pericolosità della navigazione all’imboccatura settentrionale dello stretto di Messina, ossia in corrispondenza del passaggio tra la penisoletta di Scilla in Calabria e il capo siciliano di Cariddi, pericolosità considerata tale da arrivarsi addirittura a far derivare questi nomi da quelli di due mitologici spaventosi mostri divoratori di naviganti, in verità non corrisponde per nulla alla realtà delle cose, non essendoci infatti alcuna evidenza storica che ci confermi un particolare rischio nell’affrontare quel passaggio marittimo mediterraneo, il quale inoltre non fu nemmeno mai universalmente riconosciuto come rischioso quanto lo furono invece quello di Capo Horn, quello di Buona Speranza e quello di Agulhas, passaggi questi ancor oggi battuti da violenti venti e possenti correnti oceaniche.

 

 

Da dove nasceva allora questa paurosa fama di Scilla e Cariddi? Probabilmente una certa pericolosità per le piccole e leggere imbarcazioni antiche doveva esserci, ma questo evidentemente prima che i frequenti e devastanti terremoti e maremoti succedutisi nel corso del tempo in quella sfortunata zona ne avessero sicuramente mutato la geografia sottomarina.

 

 

Il primo a parlarci di Scilla e Cariddi come di mitici mostri sanguinari fu Omero nella sua Odissea, poema a cui poi tanti antichi scrittori si rifecero data l’autorevolezza della fonte. Nacque pertanto più tardi il detto: ‘Incappa in Scilla volendo evitare Cariddi’ (Incidit in Scillam, cupiens evitare Charybdim) per significare ‘cadere dalla padella nella brace’; ma in realtà schille (σϰίλλαι) nome greco calabrese, e caridi (ϰαρίδες), nome greco siciliano, avevano lo stesso significato, trattandosi infatti di due dei tanti nomi che allora nel Mediterraneo si davano ai gamberetti; un altro per esempio era palinuri (παλίνουροι), ma questo si usava più a nord, cioè per indicare quei crostacei che si potevano trovare e pescare appunto a Capo Palinuro (per inciso, anche questo nome poi fu mitizzato).

 

Molto probabilmente dunque ‘essere tra Scilla e Cariddi’ non significò in origine trovarsi tra due pericoli di pari gravità, come più tardi invece si fraintese, ma volle semplicemente dire ‘se non è zuppa è pan bagnato’, cioè ‘è inutile che tu te ne stia a riflettere se far sosta a Scilla o a Cariddi, tanto sempre gamberetti dovrai mangiare’. E dovevano essere anche crostacei molto buoni perché Il Suida narra che il famoso buongustaio romano Apicio, autore di un ricettario di cucina vissuto tra 1º secolo a.C. e 1º secolo d.C., era talmente ghiotto di gamberi, gamberetti e astachi che girava il Mediterraneo su una sua nave recandosi e fermandosi là dove c’era fama che si trovassero i migliori crostacei; e proprio per questo motivo fu costretto a soggiornare per qualche tempo a Minturno nel Lazio, perché ne aveva fatto proprio là scorpacciate tanto smodate da restarne ammalato. Suida, Lexicon, graece et latine. T.3, p. 266. Halle e Brunswick, 1705."

Secondo Palifato, Polibio e Strabone, il primo nucleo abitato di Scilla risalirebbe ai tempi della guerra di Troia. In questa remota epoca si è soliti riconoscere nella penisola italica ondate di migrazioni di popolazioni ibero-liguri provenienti dal mare e dirette verso sud. Si ritiene dunque che tali popolazioni potrebbero aver fondato qualche villaggio lungo i terrazzamenti più bassi del crinale aspromontano sud-occidentale, digradante verso lo Stretto. Trattandosi di popoli di pescatori, presumibilmente elessero come area d'insediamento il sito adiacente alla rupe centrale di Scilla, dove la presenza dei numerosissimi scogli agevolava la pratica della pesca, consentendo al tempo stesso la costruzione delle rudimentali capanne.

 

Tale ipotesi è in parte avvalorata dallo stesso Omero allorquando, nel descrivere Crataia come madre di Scilla, lascia intendere l'esistenza di uno stretto legame tra questa e la nascita del mito del Monstruum Scylaeum, da intendersi sorto ancora alla prima frequentazione umana del tratto di mare antistante l'odierna cittadina. Dal momento che Crataia è da più parti identificata con il vicino torrente Favazzina, ancora ai tempi del Barrio chiamato fiume dei pesci, se ne potrebbe dedurre che gruppi di popoli dediti alla pesca, giunti via mare lungo la bassa costa tirrenica, inizialmente siano approdati alla foce di questo fiume, dove era agevole praticare l'attività, e successivamente si siano spostati più a sud, trasferendo la propria residenza presso la costa scillese, più ricca di pesci.

 

Foto sotto

  • Scilla, placca di terracotta, di Melos, 460–450 a.C., rintracciata ad Egina, Londra, British Museum

 

  • La statua di Scilla, anche chiamata statua della sirenetta, si trova nella parte alta del borgo di Scilla, in Piazza san Rocco(il centro si Scilla).Lo scultore ha scelto il bronzo per rappresentare Scilla nell’esatto momento della sua metamorfosi in mostro. Le sue gambe si stanno trasformando in lunghe diramazioni, simili a serpenti, che terminano in teste di cane dai denti aguzzi, tutte tranne una che diventa un pinna. Il braccio destro della povera ragazza si allunga verso l’alto e con la mano Scilla si afferra la testa in un gesto di evidente disperazione. Il braccio sinistro è abbandonato lungo il busto, la schiena è inarcata, tutte le linee della scultura mostrano tensione.
  • Imbarcazione per la pesca del pesce spada al largo di Scilla(Robin Mercuri, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons)
 
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Prime notizie, età magnogreca

 

In mancanza di precedenti testimonianze attendibili circa le epoche più remote, si è propensi a far risalire la prima fortificazione di Scilla agli inizi del V secolo a.C., allorquando durante la tirannide di Anassilao la città di Reggio raggiunse una notevole importanza, che le permise di ostacolare per oltre due secoli l'ascesa di potenze rivali.

Strabone racconta che nel 493 a.C. il tiranno di Reggio, Anassila il giovane, per porre fine alle reiterate razzie perpetrate dai pirati tirreni a danno dei commerci aperti dalla città con le colonie tirreniche, avesse mosso contro di loro con un forte esercito, sconfiggendo e scacciando i pirati da queste terre. Per i Tirreni gli innumerevoli scogli e l'alta rocca caratterizzanti la costa scillese costituivano un rifugio naturale ideale, luogo inaccessibile da cui dirigere redditizie scorrerie lungo le coste, nascondiglio sicuro per il bottino e baluardo di difesa contro eventuali controffensive nemiche.

La statua di San Rocco al momento dell'uscita dalla chiesa per la processione. Scilla, 22 agosto 2007.

Presumibilmente sorsero quindi contrasti e lotte tra i primi marinai e pescatori che avevano occupato la zona e i pirati Tirreni, alla cui bellicosità forse si deve attribuire la causa dell'arretramento dal mare dei pescatori, ostacolati dai pirati nella pratica su cui basavano il proprio sostentamento. Ciò spiegherebbe il trasferimento di residenza verso la zona alta di Scilla - l'attuale quartiere di San Giorgio - attuato da queste genti marinare, che si trasformano in agricoltori e cacciatori e mantengono poi attive le nuove pratiche fino all'età moderna.

Espertissimi nella navigazione, i Tirreni avevano dominato a lungo da incontrastati padroni le rotte del Mediterraneo, esercitando il proprio predominio soprattutto nello Stretto, grazie al presidio posto sulla rupe scillese, all'imboccatura del canale, presumibilmente fortificato. Più tardi però questi vennero sconfitti dai reggini, vittoria questa che segna un momento significativo nella storia di Scilla, considerata da Anassila un importante avamposto di controllo sulle rotte marittime. Mentre si assicura il dominio sul territorio circostante inglobando una nuova sezione del Chersoneso reggino, al tempo stesso Anassila ha cura di realizzare una stazione delle navi a Punta Pacì, ordinando la costruzione di un porto dotato di un agguerrito presidio militare.

L'opera di fortificazione dell'alto scoglio fu portata a termine dai successivi tiranni reggini, spesso impegnati in scontri con i pirati che combattono avvalendosi del porto fortificato appositamente costruito a Monacena, verso Punta Pacì, in un luogo inaccessibile dal lato opposto allo scoglio. Baluardo della sicurezza dei reggini, la fortificazione di Scilla dotata di approdo è di fondamentale importanza agli effetti del felice esito della guerra contro la pirateria, consentendo ai tiranni di Reggio di opporre per lungo tempo una valida resistenza contro gli attacchi di nuovi nemici e contro i continui tentativi di rivalsa dei Tirreni sconfitti.

Agli inizi del III secolo a.C., dopo la presa di Reggio ad opera del tiranno di Siracusa Dionisio I, che nel 386 a.C. aveva distrutto la flotta navale della città di stanza a Lipari e nel porto di Scilla, I pirati tirreni tornarono ad essere audaci e si reinsediarono sul promontorio scillese, dove ripresero a dedicarsi alla pirateria avvalendosi del preesistente porto fortificato fino a quando, nel 344 a.C., il prode Timoleonte di Corinto riuscì a sconfiggerli definitivamente.

Per quanto riguarda la successiva storia della fortificazione dell'imponente scoglio di Scilla, si ha testimonianza di come essa coincida con la storia delle vicende che hanno caratterizzato il reggino all'indomani della tirannide siracusana.

In tarda età magnogreca lo scoglio scillese è una fortezza, conosciuta come Oppidum Scyllaeum, successivamente potenziata nelle sue strutture militari durante l'età romana, allorquando porto ed oppidum costituiscono un funzionale ed efficiente sistema di difesa per i nuovi dominatori del Mediterraneo.

 

FOTO SOTTO:

  • Il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo(Di photo by: Frarug - http://www2.world66.com/europe/italy/calabria/scilla_1/lib/gallery/showimage?pic=/europe/italy/calabria/scilla_1/morning_kiss, CC BY-SA 1.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2125154)
  • Il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo di notte(Di StefanoBarillà di Wikipedia in italiano, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36707730)
 
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Alla fine del II secolo a.C., durante le guerre condotte dai Romani contro i Tarantini sostenuti da Pirro, e in particolare durante la prima e la seconda guerra punica, i Cartaginesi che avevano stretto alleanza con i Brutti e circolavano liberamente lungo le coste reggine, furono fermati nella loro ascesa proprio grazie alla strenua resistenza opposta loro dalla fortificata città di Scilla, alleata di Roma.

L'importanza della Scilla latina cominciò a decadere all'indomani della conquista romana delle terre siciliane quando, dopo Reggio e Siracusa, Messina assurse al ruolo di nuovo caposaldo per il controllo dello Stretto.

Pur tuttavia Scilla, posta all'imbocco settentrionale del canale, continuò a costituire un'importante tappa d'approdo lungo la costa tirrenica continentale, tant'è che nel 73 a.C., durante la guerra condotta dai romani contro gli schiavi, la cittadina sembra essere stata prescelta da Spartaco, a capo dei ribelli, per accamparsi in attesa di poter attraversare lo Stretto.

La fuga in Sicilia, progettata dagli schiavi ribelli con il ricorso a zattere costruite col legno di castagno estratto dai boschi scillesi, non ebbe tuttavia alcun esito a causa della presenza lungo lo Stretto delle minacciose navi pompeiane.

Successivamente il tratto di mare antistante la cittadina fu teatro degli avvenimenti che segnarono l'ultimo scontro tra Pompeo e l'annata dei Triumviri, conclusosi nel 42 a.C. con la disfatta del primo.

In quel frangente il porto di Scilla offrì opportuno rifugio alle navi di Ottaviano pressate dalla flotta di Pompeo, allorquando il futuro Augusto, nel tentativo di rimandare lo scontro finale ad un momento a lui più propizio, colse l'importanza strategica di Scilla e, una volta liberatosi definitivamente dei rivali, decretò l'ulteriore fortificazione del suo porto.

 

Era cristiana

 

Dopo Ottaviano non sembra che la fortificazione scillese abbia conosciuto nuovi rimaneggiamenti, sebbene la cittadina continui a detenere l'importante ruolo di centro marittimo locale, come testimonia san Gerolamo quando, approdato nel 385 a Scilla durante il suo viaggio verso Gerusalemme, ci ha lasciato testimonianza nel III libro delle sue opere, circa la grande esperienza dei marinai scillesi, capaci di fornirgli consigli assai utili per il buon proseguimento della navigazione.

Lo stato di abbandono in cui sembra trovarsi la fortezza di Scilla in tarda età romana, presumibilmente, dipende dal localizzarsi la stessa al di fuori degli itinerari terrestri percorsi dai barbari, durante le loro invasioni nel sud della penisola.

Costoro, infatti, nel loro "calare" a sud, utilizzano i tracciati viari romani rimasti agibili in quell'epoca di decadenza. Scilla, che non era allacciata alla via Popilia, unica strada consolare esistente lungo la costa tirrenica, rimane dunque estranea ai fatti essenziali del tempo.

Difatti la Via Consolare Popilia, nel tratto più meridionale del suo percorso non bordeggiava la costa, bensì risaliva verso l'interno passando per Solano e, superate le Grotte di Tremusa, raggiungeva la statio ai Piani della Melia, dirigendosi poi verso Cannitello, «ad Fretum», senza ripiegare verso Scilla.

 

Età bizantina

Ai primi monaci basiliani gli storici attribuiscono la fondazione del Monastero e della chiesa di San Pancrazio, tra l'VIII e il IX secolo d.C., fortificati per volontà della stessa Bisanzio, che aveva affidato ai Padri il compito di difesa delle coste dello Stretto.

Era moderna e contemporanea

Il terremoto del 1783 rappresenta uno spartiacque importante nella storia di Scilla per la particolare violenza con la quale si abbatté sulla cittadina e anche perché rappresentò la fine di uno sviluppo economico che Scilla ebbe lungo tutto il settecento. Il successivo terremoto del 1908 costò a Scilla ed anche a Messina migliaia di morti. Gli scillesi per sfuggire ai violenti movimenti tellurici dopo il crollo delle loro abitazioni si riversarono sulla spiaggia pensando di essere al sicuro ma un violento maremoto si abbatté sulla spiaggia travolgendoli e finendo così di decimare la popolazione. In tempi più recenti, parallelamente alla emigrazione verso il Nord Italia, tipica della zona, vi fu un certo fermento culturale.

DA VEDERE

Castello (VIII-IX secoli).
Chiesa della SS. Immacolata
Chiesa di San Rocco
Chiesa di S. Maria di Porto Salvo eretta nel XVIII secolo.
Chiesa Spirito Santo (XVI secolo).
Chiesa di S. Giuseppe (XVI secolo).

 

FOTO SOTTO:

a statua di San Rocco al momento dell'uscita dalla chiesa per la processione. Scilla, 22 agosto 2007(Di Giovanni Panuccio - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3571930)

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La parte alta dell’abitato

Di fronte alla tardobarocca chiesa di S. Rocco,
più volte rimaneggiata, si apre l’omonima piazza-belvedere dalla quale la vista abbraccia un ampio tratto di mare: l’arco della Costa Viola e la punta della Sicilia, il golfo di Gioia Tauro fino a Capo Vaticano e, quando il cielo è limpido, l’ombra lontana delle isole Eolie. Dalla panoramica piazza si raggiunge il monumento al pesce spada, opera dello scultore calabrese
Pasquale Panetta, che ricorda la tradizionale attività dei pescatori di Scilla.

 

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Chiesa dell’Immacolata

Scendendo verso la spiaggia, in una selletta nella
parte media dell’abitato s’incontra la chiesa dell'Immacolata.  Questa chiesa di antica fondazione, untempo annessa a un importante monastero medievale. Più volte rifatta dopo i terremoti, venne ampliata e profondamente rinnovata nel 1964-65, quando fu
costruita anche la moderna facciata preceduta da portico su colonne.

Nell’interno spiccano l’altare maggiore, con un settecentesco paliotto di marmi policromi, e una tavola dei primi del XV secolo, detta Madonna della Porta; il marmoreo busto di S. Pietro, scolpito a tutto tondo su un piedistallo che porta lo stemma dei principi Ruffo, è attribuito a un seguace di Gian
Lorenzo Bernini.

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Le marine

Lo sperone di roccia su cui sorge il castello disegna due marine dalle caratteristiche molto diverse. Da una parte Marina Grande, con la bianca spiaggia delle Sirene, le case allineate sul lungomare, le trattorie dove gustare pesce freschissimo e la seicentesca chiesa dello Spirito Santo, con
facciata barocca e interno decorato da stucchi realizzati alla fine del XVIII secolo.

Chianalea di Scilla  è antico borgo dei pescatori, con il
porticciolo e un’unica stretta stradina che segue la linea sinuosa della costa.

I piccoli ricoveri per le barche stretti nei vicoli, una spiaggetta di ciottoli e ghiaia e il mare cristallino che lambisce le vecchie case addossate le une alle altre compongono un quadro ancora intenso e suggestivo.

Il litorale di Scilla

Oltre alla lunga spiaggia delle Sirene e alla piccola spiaggia di Chianalea che si stendono ai piedi della rupe del castello, la costa di Scilla offre incantevoli baie, scogli immersi in un mare cristallino e fondali ricchi di flora e fauna marine. Particolarmente amata dagli appassionati di immersioni e da chi ama nuotare facendo snorkeling è punta Paci, con acque
limpidissime e fondali subito profondi, mentre il difficile accesso rende cala delle Rondini un luogo ancora intatto e selvaggio, con un mare davvero indimenticabile.

Pochi chilometri più a nord, la piccola frazione di Favazzina
ha una bella spiaggia di sabbia fine e chiara.

La costa, alta e scoscesa, è disegnata da terrazzi che guardano il mare. Si coltivano agrumi e viti: i primi producono il Verdello, pregiata varietà di limone, le altre i grappoli che regalano lo Scilla, un profumato vino rosso o rosato a indicazione geografica

Castello Ruffo

Il Castello Ruffo  si trova in scenografica posizione sopra la rupe a picco sul mare.

Esso presenta  poderose mura merlate e  fu costruito nel XVI secolo dai Ruffo ma è di origine molto più antica.

 

Si ritiene infatti che un primo edificio sia stato qui innalzato in epoca magnogreca per difendere Reghion dalle incursioni
piratesche provenienti dal Tirreno, e questa funzione difensiva contro gli attacchi dal mare si riaffermò anche nel medioevo, quando divenne prima roccaforte bizantina, poi presidio militare di normanni e Angioini, parte di un
complesso sistema di fortificazioni costiere. Nel 1533 venne acquistato dai
Ruffo che lo trasformarono in dimora nobiliare. La sua lunga storia e le
numerose trasformazioni si riflettono nella struttura, articolata in diversi corpi
di fabbrica, che inglobano anche i resti di un monastero basiliano. Il castello,
che subì gravi danni nei terremoti del 1783 e del 1908, è oggi un centro
culturale ed è sede di mostre e convegni.

EVENTI

Festa di San Rocco (sabato e
domenica successivi al 16 agosto).
• La Festa della Madonna di Porto
Salvo (ultima domenica di agosto).
• Sagra del Pesce Spada (agosto).
• Sagra della Spatola (agosto).

PRODOTTI DEL BORGO

Il pesce, soprattutto il pesce spada
cucinato in vari modi. Ottimo il
vino ottenuto dalle pregiate uve
zibibbo. Coltivati nel territorio i
rarissimi limoni chiamati verdelli.

PIATTI DEL BORGO

Il pesce spada cucinato secondo tradizionali
ricette, al forno, in padella o
nel sugo. Molto apprezzato e di tendenza è il rustico panino col pesce spada da consumare accompagnato da una birra fresca.

Altro pesce molto utilizzato
nei piatti tipici del posto è la spatola.
Speciale la tortiera di spatola cotta al
forno in maniera tradizionale.

 

Foto sotto:

panino col pesce spada

tortiera di spatola

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Un piatto ricco e profumato per la domenica:
la TURTERA 'I SPATULA (tortiera di pesce sciabola)!!

Il pesce sciabola o spatola ha il corpo allungato, nastriforme, schiacciato ai lati e privo di squame.
La colorazione del corpo è di un bianco-argenteo brillante, formata da un pigmento che si stacca facilmente a contatto delle dita; può raggiungere una lunghezza massima di 2 metri e 10 cm, ma è comune da 70 a 90 cm.

Preparazione:
Dopo aver pulito il pesce, si prepara la mollica con sale, parmigiano, aglio, prezzemolo, capperi, olive, pomodori sbucciati tagliati a cubetti e tanto olio da rendere l'impasto morbido. Una teglia, un filo d'olio evo, la nostra "muddica cunzata" e via con il primo strato di pesce. La pelle del pesce deve essere sempre rivolta verso il basso. Altro olio, altra mollica, un po' di parmigiano e si chiude anche il secondo strato. Altra mollica e olio e in forno a 180° per circa 25 minuti; se dovesse cuocersi troppo copritela con un foglio di carta stagnola e proseguite la cottura.
 

 

 

 

 

ANTICHI MESTIERI

Le attività più redditizie riguardano
ovviamente la pesca del pesce spada.
La pesca dalla fine degli anni ’60 si
pratica con la Passerella, imbarcazione
a motore dotata di un albero molto
alto per l’avvistamento e da una passerella
dalla quale si lancia l’arpione.
Anticamente si usavano invece le luntre,
imbarcazioni agili ed eleganti.


  • fonte : https://it.wikipedia.org/wiki/Palmi testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli.

 

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